La vertenza Volkswagen prosegue senza soste, con notizie che continuano a rincorrersi, anche in maniera contraddittoria. Dopo le indiscrezioni del Financial Times relative alla contrarietà delle famiglie Porsche e Piëch ad accordi senza tagli, ora è Bloomberg ad affermare che, al contrario, il management del marchio tedesco e i leader sindacali sarebbero vicini a un accordo teso alla ristrutturazione dell’azienda automobilistica senza dover chiudere le fabbriche in Germania. Anche in questo caso, come di consueto, ad affermarlo sarebbero fonti a conoscenza della situazione che, però, non sono menzionate. Considerata l’attendibilità di Bloomberg, l’ipotesi in questione può comunque essere considerata attendibile.
I lavoratori rinuncerebbero ai bonus, pur di mantenere aperti gli stabilimenti
L’accordo per mantenere aperti gli stabilimenti tedeschi di Volkswagen sarebbe ormai ad un passo. Ad affermarlo è Bloomberg, secondo il quale sarebbe stata trovata la quadratura del cerchio nelle discussione tra dirigenza e sindacati. In particolare, a consentire la schiarita sarebbe stata la rinuncia al pagamento dei bonus produttivi spettanti ai lavoratori. In cambio, l’azienda manterrebbe in funzione gli impianti e ripristinerebbe gli accordi di sicurezza del lavoro fino al 2030.
Se questa è la parte più significativa dell’accordo, a corollario ci sarebbero altri provvedimenti. Le ulteriori misure di taglio dei costi discusse, infatti, prevedono anche la cessazione della produzione di auto elettriche a marchio VW a Zwickau, che consentirebbe di ridurre la capacità, e lo spostamento di quella della Golf berlina dall’impianto di Wolfsburg al Messico.
In tal modo, non si passerebbe dagli scioperi dimostrativi a quelli diffusi si porrebbero le basi per quella nuova partenza auspicata da Oliver Blume al fine di rilanciare il maggiore costruttore di automobili a livello continentale.
Una vertenza che rischiava la deflagrazione
Com’è ormai noto, Volkswagen si trova in un momento estremamente complicato della propria esistenza. A causa di una serie di scelte errate, infatti, la casa di Wolfsburg si è ritrovata con una capacità eccessiva della sua rete produttiva. Tale da far esplodere i costi in un momento in cui il mercato stava iniziando a contrarsi.
In particolare, a mettere in difficoltà il gruppo è il forte calo di vendite registrato sul mercato cinese, il più grande del mondo. Che è andato a sommarsi al calo della domanda di EV in Europa e negli Stati Uniti. Come al solito, il conto è stato presentato ai lavoratori, prospettando loro un piano lacrime e sangue, tale da prevedere non solo tagli di stipendi nell’ordine del 10%, ma anche licenziamenti e chiusure di stabilimenti in Germania.
Un taglio da 17 miliardi di euro di fronte al quale, però, IG Metall ha eretto un vero muro. Ricordando che negli anni precedenti i guadagni accumulati non erano certo andati a ingrassare i lavoratori, bensì le stesse famiglie Porsche e Piëch che chiedono ora sacrifici unilaterali ai primi.
Ora non resta che attendere l’ufficialità
Era stata Daniela Cavallo, la combattiva sindacalista di origini italiane che rappresenta le maestranze nel consiglio d’amministrazione a incaricarsi di precisare la realtà. Nel corso di un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Zeitung aveva ricordato che le famiglie indicate continuano a collezionare un milione di euro a settimana sotto forma di dividendi azionari.
Queste le parole usate, nell’occasione: “Immaginate quanto segue: giocate alla lotteria. Ogni settimana. Sempre alla lotteria del sabato. E ogni sabato vincete un milione di euro alla lotteria. Dopo un anno, avreste 52 milioni di euro. Questa è la cifra che i nostri principali azionisti, Porsche e Piëch, hanno ricevuto in dividendi dal 2014. Solo negli ultimi dieci anni. Dal 2014 a oggi. Un lavoratore specializzato nell’industria tedesca, ad esempio qui alla VW, dovrebbe lavorare circa 100.000 anni per raggiungere quella cifra”.
Per fortuna dei lavoratori di Volkswagen, ora la vertenza sembra andare verso una felice conclusione. Favorita anche dal particolare modello di azionariato vigente nell’azienda, ove una parte delle azioni è detenuta dal land della Bassa Sassonia. Ovvero da politici i quali devono rispondere del loro operato agli elettori e che, di conseguenza, non potevano permettersi una conclusione tale da premiare gli azionisti a danno dei lavoratori. Soprattutto alla luce della recente conclusione del governo Scholz e delle incombenti elezioni politiche.