Volkswagen venderà le sue attività nello Xinjiang cinese. È stata la casa tedesca ad annunciarlo, affermando anche l’estensione della partnership con la SAIC fino al 2040. Una mossa che sembra dettata dall’esigenza di arginare il declino di vendite all’interno del suo mercato più grande. E che è stata accolta con favore dagli azionisti, a partire dal Land della Bassa Sassonia, il secondo in ordine di importanza.
Il gruppo tedesco e SAIC venderanno il loro stabilimento nello Xinjiang alla Shanghai Motor Vehicle Inspection Certification (SMVIC), un’unità della Shanghai Lingang Development Group di proprietà statale. Sarà quest’ultima ad assumerne tutti i dipendenti. Anche se non sono stati divulgati i termini dell’accordo, la stessa SMVIC rileverà anche le piste di prova SAIC/VW a Turpan, Xinjiang e Anting a Shanghai.
Deka Investment, uno dei venti maggiori azionisti e uno di quelli che avevano dato vita a ripetute pressioni sulla casa di Wolfsburg per una fuoriuscita dallo Xinjiang, ha affermato comunque che tale provvedimento avrebbe un impatto minimo sulle disastrate casse di Volkswagen.
Il declino dello stabilimento era in atto da tempo
Lo stabilimento dello Xinjiang era stato inaugurato nel 2013 e in precedenza assemblava la Volkswagen Santana. Nonostante una capacità pari a 50mila veicoli all’anno, ormai dal 2019 non ne produceva più. Con l’avanzare del tempo aveva quindi perso rilevanza, con un drastico taglio delle maestranze. In pratica erano rimasti al suo interno soltanto 200 addetti, che si occupavano dei controlli di qualità finali e della consegna dei veicoli ai concessionari della regione.
La Volkswagen ha anche provveduto a negare le indiscrezioni secondo cui avrebbe tenuto aperto l’impianto in quanto preteso da Pechino per poter continuare a produrre in tutta la Cina. La decisione di venderlo, per esplicita ammissione della casa tedesca, è stata presa per motivi economici.
Dopo la diffusione della notizia i titoli VW sono scesi di mezzo punto percentuale, in linea con il DAX. Dall’inizio dell’anno hanno lasciato sul terreno il 26% del proprio valore. Perdite causate dalle ormai note difficoltà che hanno costretto l’azienda a intraprendere una strategia tesa alla riduzione dei costi. Tale da prevedere licenziamenti di massa e chiusure di fabbriche in Germania.
Volkswagen-SAIC: l’accordo è un premio alla Germania per il no ai dazi?
Per quanto concerne l’accordo con la SAIC, è stato rinnovato in un momento in cui stanno salendo di tono le tensioni commerciali tra Pechino, Bruxelles e Washington. Se Bruxelles ha imposto ingenti dazi punitivi sulle importazioni di veicoli elettrici prodotti in Cina, nella giornata di lunedì Donald Trump ha annunciato l’intenzione di introdurre dazi del 25% sulle importazioni da Messico e Canada e del 10% sui prodotti cinesi.
Proprio la SAIC è stata sottoposta alla tariffa doganale più elevata dell’UE, pari al 35,3%, che si aggiunge a quella già esistente del 10%. Il rinnovo dell’accordo con l’azienda tedesca è stato interpretato alla stregua di un premio per l’atteggiamento tenuto dalla Germania sulla questione dei dazi. Il governo di Berlino si è infatti pronunciato contro il provvedimento della Commissione Europea.
La joint venture tra le due case è considerata vantaggiosa per entrambe le parti. Le case automobilistiche cinesi, infatti, hanno solitamente cercato alleanze con quelle occidentali, traendone beneficio dal punto di vista dell’esperienza tecnica. Volkswagen, come altri, ha invece potuto sfruttare il know-how di cui SAIC è portatore nel settore dell’auto elettrica.
La rinnovata joint venture punta a lanciare 18 nuovi modelli entro il 2030, tra cui due modelli ad autonomia estesa per i consumatori cinesi nel 2026. Ad essa, però, il gruppo tedesco ne affianca altre con FAW, JAC Automobile Group e Xpeng. Quest’ultima, in particolare, è stata annunciata di recente e mira allo sviluppo di nuovi modelli mirati proprio al mercato cinese, oltre 30 ibridi o elettrici da qui al 2030. Un ambito che VW non sembra quindi assolutamente disposto a lasciare.