In Germania, la sinistra green ha sfasciato l’industria auto tedesca, regalando il settore alla Cina con le sue elettriche: ora è crisi Mercedes, come come di tutto il settore automobilistico in terra teutonica. Stoccarda conferma quando riporta l’agenzia di stampa tedesca DPA: pesantissimo piano di ristrutturazione. “Nei prossimi anni ridurremo i nostri costi di diversi miliardi di euro all’anno”, ha affermato una portavoce in merito a quanto anticipato da Stuttgarter Zeitung e Stuttgarter Nachrichten.
Diversi miliardi? C’è paura
Se venisse indicato un taglio preciso, sarebbe un dramma, ma almeno si avrebbe il quadro chiaro. Qui invece c’è una sforbiciata dai contorni poco nitidi: diversi miliardi. Che può essere poco, abbastanza, tanto. C’è paura fra i dipendenti e nella filiera.
Diverso da VW
Mercedes ha precisato come l’attuale accordo con i rappresentanti dei lavoratori, noto internamente come “Zusi 2030”, non sia in discussione. Non è come nel caso VW, che ha stracciato il contratto. L’intesa esclude dismissioni di impianti e licenziamenti sino alla fine del 2029.
Le cause del flop
“La situazione economica rimane estremamente instabile a livello mondiale. Solo attraverso un aumento duraturo dell’efficienza possiamo rimanere finanziariamente forti e in grado di agire”, ha aggiunto la portavoce. Obiettivo: “risparmi significativi”. Quanto? Mistero.
Il più recente bilancio trimestrale genera inquietudine: utile operativo rettificato sceso del 64% a 1,2 miliardi. La sua incidenza sul fatturato è crollata dal 12,4% del pari periodo dell’anno scorso al 4,7%. Guai in Cina: qui, i marchi domestici vanno a mille, mangiando quote a BMW, Mercedes e VW. Problemi con le full electric tedesche, poco amate nel mondo. Automotive tedesco in lacrime
Nei primi dieci mesi dell’anno, secondo dati Acea, le immatricolazioni in Germania accusano un leggero calo dello 0,4%, imputabile in particolare proprio al crollo del mercato dei veicoli a batteria (-26,6%). L’industria automobilistica tedesca affronta gravi difficoltà nel passaggio ai veicoli elettrici a fronte di una concorrenza sempre più intensa in Cina. Il Regno di Mezzo un tempo era fonte di forti profitti per i big dell’automotive germanica.
L’Oriente gongola
Le Case auto di Corea, Giappone e Cina, vista la situazione brutta dell’auto tedesca (BMW, Mercedes e VW) hanno margini di miglioramento giganteschi. D’altronde, tutto quello che è di base lontano dalla burocrazia del Vecchio Continente può crescere. Da noi, si litiga sulla Commissione Ue, in una battaglia per le seggiole d’oro. Protagonista la stessa Germania che ha causato tutto questo in nome della batteria dell’auto elettrica non inquinante: bluff riprovevole.
Cosa può fare la cinese Geely
In un momento così incerto, c’è una grande occasione per la cinese Geely. Non è poi passato così tanto tempo (era il 2018) quando la Daimler confermava l’ingresso nel suo capitale da parte del colosso del Dragone. Maggiori azionisti tramite un’operazione dal valore di 7,5 miliardi di euro. Li Shufu, fondatore e proprietario del gruppo Zhejiang Geely Holding, che controlla Geely, Volvo, Lotus e altro, all’epoca seguì una strategia di rastrellamento di azioni sui mercati azionari nell’arco di settimane.
Si diceva, maggiori azionisti. Non certo azionisti con la maggioranza per poter controllare tutto: il 50% più uno. Vedremo adesso che cosa accadrà.
Auto tedesca ko: governo di Berlino come una zattera nell’oceano
Il governo tedesco, di fronte al ko dell’auto nel Paese, è una zattera nell’oceano. A settembre 2024, pensava a 585 milioni di euro di incentivi per le auto elettriche. Poi non se n’è fatto più nulla. E certo: li mette, li toglie, pensa di rimetterli. Schizofrenia automotive.
La sinistra verde, dopo la sfuriata ideologica sulle macchine a batteria, traballa. Il cancelliere Olaf Scholz è debolissimo, e nessuno intende candidarsi al suo posto nella maggioranza. Non sapendo che pesci prendere, ha riallacciato le relazioni con Vladimir Putin, dopo che per mesi s’era detto: con le sanzioni, Russia alle corde. In realtà, il gas di Mosca manca eccome, perché una delle chiavi della recessione è il costo elevatissimo dell’energia.
Pertanto, la Germania ha puntato sull’auto elettrica in Ue, e poi s’è tolta il gas (o meglio l’ossigeno della Russia): una tempesta perfetta, un suicidio da film horror. Sullo sfondo, decine di migliaia di disoccupati auto (industria diretta e indotto). Sondaggi impietosi per la socialdemocrazia tedesca, che si riunisce per studiare come salvare il salvabile alle elezioni anticipate del 23 febbraio 2025: dal sogno verde allo tsunami nero il passo è breve.
Unione europea e auto: futuro misterioso
La fragilità della sinistra tedesca, col governo che crolla, si riflette sull’Ue: qui, i green di Germania hanno imposto l’auto elettrica, comandando nella vecchia Commissione Ue. Adesso, la nuova Commissione Ue non nasce perché senza maggioranza, in quanto priva di stampella tedesca. Senza quest’organo, il settore auto di tutta l’Europa viene paralizzato: incertezza totale su dazi, incentivi, colonnine, aiuti ai disoccupati, protezione dell’industria automotive.
In Ue, ecco divergenze interpretative sulle modalità attuative, sui tempi di transizione e sugli impatti economici delle norme europee: ovvio, non c’è uno che comanda e decide a Bruxelles oggi. Il quadro regolatorio è indefinito. Caos totale sia per i costruttori auto sia per i consumatori. Mai visto un disastro epocale simile: tutto per colpa del dogma dell’auto elettrica. Che era da coccolare come una neonata: un prodigio di tecnologia da curare, come una pianta tanto meravigliosa quanto delicata. Non serviva la tecnoburocrazia gelida e distaccata, ma amore e competenza per l’auto, pilastro della mobilità europea, dell’industria nel Vecchio Continente, del Prodotto interno lordo di numero Paesi chiave.