C’è una buona e una cattiva notizia. Partiamo da quella buona: la Fiat Topolino tornerà sul mercato. Un nome che rievoca la mitica prima 500, uscita negli anni Cinquanta, così ribattezzata per via delle dimensioni compatte. Ora quella brutta: non nascerà nella nostra penisola. Durante la presentazione risalente a inizio mese, Stellantis ha, infatti, comunicato che nascerà in Marocco. Una bella doccia fredda per la manodopera della nostra penisola, autorizzata a sperare nella sua fabbricazione presso gli stabilimenti nazionali.
Stellantis: l’annuncio sulla produzione
Così, purtroppo, non sarà ed è difficile credere alle parole di John Elkann, secondo cui il Belpaese abbia un ruolo centrale nelle strategie societarie. Lo suggerisce l’evidenza dei fatti, dove sempre meno modelli vedono la luce lì dove il Lingotto è nato e ha costruito le proprie fortune. In un mondo globalizzato, il legame con le origini si è via via affievolito.
Il ministro dello Sviluppo e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva sollecitato il gruppo diretto da Carlos Tavares a far uscire il suo legame col tricolore. Delle parole alle quali aveva prontamente replicato il rampollo della famiglia Agnelli-Elkann, quasi in modo offeso.
Se rispettasse anche solo la metà dei buoni propositi, l’economia nazionale ringrazierebbe, poco ma sicuro. E, invece, le strategie societarie portano in ben altra direzione, votata, soprattutto, alla Francia. Il motivo è presto detto: lo Stato francese detiene le quote di PSA Groupe, acquistate durante uno dei peggiori periodi di crisi attraversati dal Leone. Allora c’era urgente bisogno di fondi e il Governo accettò di contribuire alla causa, in cambio di alcune quote.
Alla luce di questo esempio, l’esecutivo capitanato da Giorgia Meloni avrebbe vagliato l’idea di replicare la stessa formula. La replica di Elkann non si è, tuttavia, fatta attendere. A suo avviso, una mossa del genere avrebbe senso unicamente in situazioni di difficoltà economiche, mentre Stellantis prospera. I dati di bilancio gli danno ragione: nel 2022 l’utile netto è stato pari a 16,8 miliardi di euro, in incremento del 26 per cento sul 2021, e l’utile operativo rettificato è stato di 23,3 miliardi, in crescita del 29 per cento.
I ricavi netti hanno ammontato a 179,6 miliardi, per un più 18 per cento, dettato dai prezzi favorevoli, dal miglior mix modelli e dagli effetti positivi dei cambi di conversione. Gli azionisti hanno, dunque, percepito un dividendo ordinario di 4,2 miliardi di euro, equivalenti a 1,34 euro per azione. In un’equazione pressoché perfetta, chi sta pagando dazio è la classe operaia italiana, messa in un angolo.