Il disimpegno di Stellantis dall’Italia e da Torino è cosa fatta da tempo. In un interessante editoriale per Il Fatto Quotidiano, lo afferma categorico Mariano Turigliatto, docente ed ecologista, che descrive il declino dell’industria automobilistica nel capoluogo piemontese. Il simbolo della perdita di spessore è la fine riservata allo stabilimento ex-Bertone di Grugliasco, tanto desiderato dal compianto Sergio Marchionne per le Maserati. Da quando Fiat Chrysler Automobiles (FCA) e PSA Groupe sono diventate un’entità unica (nel 2021), la manodopera della nostra penisola ha dovuto ingoiare diversi bocconi amari.
Stellantis: l’uscita dall’Italia era nei piani da tempo?

Nelle scorse settimane hanno tenuto banco dei botta e risposta tra i manager e il governo Meloni, anche con toni piuttosto accesi. La miccia è stata innescata da Carlos Tavares, pronto a minacciare un disinvestimento dagli impianti della nostra penisola. Nella fattispecie, Mirafiori e Pomigliano d’Arco rischierebbero di pagarne il dazio. Una serie di indizi sono stati ravvisati nelle recenti manovre. Da un lato, i numerosi stop hanno colpito la linea della 500e, a causa delle difficoltà logistiche e delle poche vendite. Dall’altro, Pomigliano d’Arco ha detto addio al sogno di fabbricare la prossima Panda elettrica, commissionata alla manodopera di Tychy, in Polonia.
Mentre si parla di una possibile localizzazione delle vetture di Leapmotor, società cinese nel cui azionariato Stellantis è entrata a far parte lo scorso anno, Turigliatto mette in guardia i lettori. Lo fa attraverso la forza dei numeri, indicativi circa la situazione attuale. Innanzitutto, il complesso ex-Bertone di Grugliasco, in passato simbolo dell’aristocrazia operaia torinese, ha chiuso i battenti nel 2014, dopo anni di declino. Quindi, ribadisce la sensazione il calo occupazionale di oltre 40.000 persone negli ultimi decenni. La politica locale ha aiutato il Lingotto, non intervenendo a sostegno dell’indotto e delle eccellenze territoriali.
Oggi lo scenario è mesto e allarmante. Delle aree industriali risultano dismesse e inutilizzate e tanti lavoratori sono stati accompagnati alla porta, per uno smantellamento di un sistema di competenze e professionalità che ha fatto la storia dell’industria automobilistica italiana.
Il dito viene puntato contro la dirigenza Fiat, accusata di aver privilegiato la finanza e gli azionisti rispetto al futuro della classe operaia e della zona. Inoltre, gli enti locali avrebbero avuto un ruolo nel disimpegno industriale, incapaci di promuovere alternative e diversificazione economica.
Per quanto riguarda le possibili soluzioni, un’idea è di favorire le realtà più brillanti della zona, in particolare nel campo dell’automotive e dell’innovazione tecnologica. Sostenere l’indotto e le piccole-medie imprese creerebbe un sistema maggiormente resiliente e stratificato, meno dipendente dai piani di Stellantis. Infine, gli investimenti in formazione e riqualificazione professionale consentirebbero di prepararsi in vista delle prossime novità attese da qui in avanti.