Non c’è pace per i lavoratori dell’indotto Stellantis di Melfi. Dall’8 gennaio occupano i cancelli della Fdm, in cerca di risposte che, fino a questo momento, si fanno attendere. Per 110 membri della manodopera, addetti al magazzino e alla logistica, sembra giunta la fine. Come riporta Basilicata24.it, lo stop alla commissione è giunta giovedì scorso in Confindustria. Una decisione dura da accettare, anche perché la maggior parte delle persone coinvolte ha una famiglia a cui provvedere.
Sono stati scaricati con un’e-mail, e niente più, tuona il personale accompagnato alla porta. Ma è forte l’indignazione pure nei confronti dell’azienda di appartenenza, la Fdm, ramificazione della Sit, società per azioni presente sulla scena nazionale. Che le cose non andassero bene lo avevano intuito da tempo: negli ultimi mesi operavano in Cassa a rotazione e lavoravano appena 5-6 giorni al mese.
Stellantis Melfi: taglio all’indotto

Stellantis, affermano gli operai, aveva garantito che non avrebbe internalizzato l’intera attività. Così facendo, di lavoro per l’indotto ce ne sarebbe stato ancora. Invece, passati anni di servizio, sono stati trattati come lavoratori ed esseri umani di ultima categoria. In via ufficiosa, sono state prospettate due possibilità: liquidazione del Trattamento di Fine Rapporto o Cassa integrazione a zero ore pagata dall’Inps per dodici mesi.
Non appena si sono fermati, proseguono gli operatori, Stellantis è stata costretta allo stop. Il sistema è collaudato e le competenze offerte sono specializzate. Per avere un quadro dettagliato della situazione bisognerebbe sentire, ovviamente, anche Stellantis, ma, qualunque sia la ragione, Melfi rimarrà ferma fino a martedì prossimo per mancanza di componenti.
Lo stabilimento Stellantis di Melfi è lo specchio della situazione attualmente vissuta da tutte le fabbriche italiane al servizio, in maniera diretta o indiretta, di Stellantis. Malgrado i piani alti del conglomerato continuino a rassicurare circa i piani per la nostra penisola, le ultime novità sono lungi dal poter essere definite positive.
In nome del profitto, diverse produzioni importanti sono state delocalizzate all’estero, anche per quelle vetture che, in teoria, rappresenterebbero l’essenza del Made in Italy. Tra gli annunci meno accettati, spicca la decisione di costruire la nuova Fiat Panda a trazione 100 per cento elettrica in Serbia. Tutto questo a discapito di Piedimonte San Germano, dove continueranno a realizzare l’attuale generazione fino al 2026.