Più di qualche osservatore aveva messo in guardia dalla possibile esplosione della rabbia operaia, ipotesi del resto evocata da Maurizio Landini, segretario della CGIL, pochi giorni fa. E quanto accaduto a Bruxelles ne sembra la testimonianza più lampante.
Nella giornata di mercoledì, infatti, come riferito da Autonews, una riunione tra rappresentanti sindacali e direzione dello stabilimento Audi di Bruxelles è stata interrotta dall’irruzione di circa 150 manifestanti. A fronte della quale i funzionari dell’azienda hanno chiamato le forze dell’ordine, le quali sarebbero intervenute con mano pesante. L’autunno caldo sembra ormai pronto ad entrare nella sua fase più acuta.
Stabilimento Audi di Bruxelles, una rivolta che potrebbe presto incendiare l’Europa
All’inizio di questa settimana, Audi ha dichiarato che “la ricerca attiva di investitori è giunta al termine”, dopo non essere riuscita a trovare un acquirente adatto per il suo stabilimento di Bruxelles. Un annuncio terrificante per i circa 3mila lavoratori che sono impiegati al suo interno, in quanto ha di fatto decretato la fine della struttura. La produzione della Q8 e-tron condotta nel sito belga, infatti dovrebbe concludersi all’inizio dell’anno prossimo.
Di fronte alla prospettiva di un Natale triste, non era difficile immaginare come la situazione fosse sul punto di prendere una pessima piega. E, infatti, l’assalto di circa 150 lavoratori avvenuto nella giornata di mercoledì, almeno come tale indicato dai media, è puntualmente giunto a certificare lo stato di grande tensione che inizia a serpeggiare nei metalmeccanici europei.
Se Audi ha in pratica già deciso la serrata, anche altre case si apprestano a farlo, per cercare di fronteggiare la crisi del settore automobilistico. E, come al solito, saranno i lavoratori a pagare il conto di scelte errate da parte di politici e manager che, dal canto loro, possono pontificare dall’alto di appannaggi estremamente generosi. Da Bruxelles, però, sembra partire un segnale ben preciso: i metalmeccanici non sono disposti a porgere l’altra guancia.
I lavoratori chiedono un a giusta retribuzione per il lavoro svolto, ma le aziende sembrano pronte a fare orecchie da mercante
La situazione tra i lavoratori e la casa automobilistica è comprensibilmente tesa, considerato che per i 3mila e passa impiegati a Bruxelles si apre un periodo di incertezza. Il ricorso alla polizia, attuato dalla dirigenza dello stabilimento, non sembra però il modo migliore per calmarla.
Non a caso Miranda Ulens, segretario della Federazione Generale del Lavoro del belgio (FGBT) ha affermato: “Non è così che si conducono colloqui pacifici. I lavoratori chiedono semplicemente un piano sociale equo, ovvero una giusta retribuzione per il lavoro svolto.” Una richiesta la quale, però, non sembra trovare consenso in Audi. Da qui, la rabbia dei manifestanti, destinata ad essere acuita dall’utilizzo dei manganelli da parte delle forze di polizia intervenute.
A descrivere il tutto alla stregua di una rivolta è stato il quotidiano tedesco Spiegel, secondo il quale i circa 150 manifestanti avrebbero letteralmente preso d’assalto la riunione, facendo esplodere dei fuochi d’artificio. Nel parapiglia, a rimetterci è stato anche un rappresentante sindacale, rimasto leggermente ferito.
Il Belgio potrebbe essere solo il primo atto dell’autunno caldo
Non sembra esserci alcun dubbio che la tensione è destinata a restare alta finché non verrà finalizzato un accordo di compensazione tra le due parti. Anche in questo caso, però, quanto accaduto a Bruxelles potrebbe essere il semplice prodromo di quanto sta bollendo in pentola. Ovvero della vera e propria rivolta sociale evocata da Maurizio Landini, a margine delle trattative fallite tra governo italiano e sindacati.
Le situazioni più complicate in assoluto, per il momento, sembrano quelle di Italia e Germania. Ove i due maggiori gruppi dei rispettivi Paesi, Stellantis e Volkswagen, si trovano in una situazione densa di incognite. Se in Italia è Mirafiori, il simbolo dell’industrializzazione dello stivale, a pagare un conto salato, in Germania si parla con sempre maggiore insistenza della chiusura di molti stabilimenti. Tanto da spingere autorevoli commentatori a indicare la vera e propria deindustrializzazione come un’ipotesi sempre più concreta.