Poche ore fa, oltre 7.000 addetti dell’industria europea sono scesi in piazza a Bruxelles: provenienti dai settori auto, metalmeccanico, siderurgico, chimico, farmaceutico, tessile, dell’energia. Obiettivo – certificato il flop del Green Deal e dell’auto elettrica – chiedere all’Ue azioni concrete e immediate. IndustriALL, compresi gli italiani Fiom, Uilm, Fim, Filctem, Uilca e Femca, hanno fatto sentire la loro voce. C’erano le delegazioni di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra: la sinistra che manifesta affinché la sinistra Ue prenda decisioni.
Urlo di dolore: dramma disoccupazione
Il Green Deal, secondo i fornitori auto, ha portato a 50.000 licenziamenti. Per ora, ma con questi chiari di Luna ci si aspetta il peggio. C’è l’incognita VW mentre altri Gruppi non dormono sonni tranquilli. La combattiva segretaria di IndustriALL Judith Kirton-Darling: “Dal 2009, l’industria siderurgica europea ha perso quasi 100 mila occupati. Da giugno sono stati annunciati oltre 90 mila tagli nell’automotive. I licenziamenti si stanno accumulando anche nei settori chimico, tessile. Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, ha avvertito: “Così non si può andare avanti, o lo capiscono o lo glielo faremo capire. Noi siamo a favore della transizione, ma non può avvenire a dispetto del sociale e incentivando la povertà”.
C’è solo una strada
Il tempo stringe e i soldi mancano. Servirebbe a nostro avviso un Piano Marshall colossale per i bonus lato domanda e offerta pro elettrico, colonnine veloci ovunque, scudo anti Cina, protezione degli addetti. Ossia fare a metà 2025, dopo le procedure burocratiche del Dialogo strategico, quello che andava fatto nel 2019. Ieri andava fatto un ragionamento sulla potenza spaventosa del Dragone, sui costi iperbolici dell’energia, sulla debolezza della rete distribuzione, sulla pietosa infrastruttura di ricarica pubblica. Ora è tardi. Esiste un’unica soluzione secondo noi: tornare ai motori termici, abolire il bando alla vendita di benzina e diesel nel 2035, eliminare le multe a carico delle Case auto, stoppare l’arricchimento lecito di Tesla e cinesi che avviene con l’acquisto dei crediti verdi. E prendere in esame i numerosi carburanti alternativi. Reinvestire le mancate penalità nell’innovazione tecnologica verso motori a benzina, diesel e ibridi puliti.
La controrivoluzione
La rivoluzione verde ha fallito. Allora, serve la controrivoluzione. Che in Ue parta dagli stessi partiti i quali hanno iniziato il Green Deal 2019. Da vedere l’esito delle elezioni del 23 febbraio 2025 in Germania: se la sinistra perdesse, l’ala oltranzista Ue sarebbe spinta a cedere verso il termico.
Da dove possono arrivare i soldi
Tridico (M5S) ha rilanciato l’impegno a spingere per “un fondo Sure per l’automotive”. Soldi Ue messi nel piatto perché “così come è stato durante la crisi del Covid”. D’altronde, “la crisi dell’automotive è una europea”. Stéphane Séjourné (vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega all’Industria) ha rassicurato: “Il futuro Clean Industrial Deal è prima di tutto un patto sociale. Ha un obiettivo: mantenere i posti di lavoro in Europa”. Sì, ma come? Se la Cina ci è superiore nell’elettrico, e lo sarà ancor più in avvenire, resta solo una strada: propulsore a combustione.
Con coraggio
Qualcuno con personalità nell’Ue deve armarsi si piccone e abbattere il Fit for 55 attuale, tutto storto, instabile. E crearne uno serio, concreto, pragmatico, facile da realizzare. Una volta l’Ue, con Sleepy Joe in Usa che credeva nel full electric, poteva anche dormire. Adesso, con Trump, più Cina e Russia che ci “circondano”, occorre svegliarsi e anche in fretta con la svolta termica. E se proprio qualcuno ci tenesse davvero all’ambiente e a Madre Natura, non avrebbe messo i dazi Ue anti auto elettriche Made in China. Infine, basta con questa storia che l’Europa si mette sempre al centro dell’universo come se fosse l’unica a esistere: in fatto di inquinamento, contiamo come il due di picche, innanzi alle superpotenze mondiali.