I profitti VW crollano, il costo dell’energia è elevatissimo, i dipendenti guadagnano troppo e alcune fabbriche vanno chiuse perché la domanda di auto va a picco: in questo quadro drammatico, la Germania va a fuoco, coi sindacati che minacciano lo sciopero a oltranza. Ben diverso dallo sciopero classico di qualche ora, per cui dopo si riprende come se nulla fosse. Incrociare le braccia finché le cose si risolvono ha un sapore differente. IG Metall fa sapere (su un volantino distribuito oggi): scioperi non solo possibili, anche necessari.
Due profit warning
Volkswagen (come molti altri produttori di automobili europei) sta affrontando l’intensificarsi della concorrenza dei rivali cinesi, il rallentamento della domanda di veicoli elettrici e il ritardo dell’economia tedesca negli ultimi mesi. Due profit warning in meno di tre mesi, con VW che punta a esternalizzare intere divisioni e diverse attività a fornitori di servizi. Per gli stabilimenti rimasti in produzione, ridimensionamenti.
Sono sindacati tedeschi
All’apertura della crisi, VW aveva chiesto ai lavoratori di evitare mobilitazioni sino alla fine di novembre 2024: i sindacati hanno detto sì. Ma ora basta. Nessun accordo significa blocchi alla produzione. Da lunedì 2 dicembre 2024. “La Volkswagen si renderà conto al tavolo delle trattative quanto a lungo durerà, e quanto duro sarà lo scontro con i sindacati. Tutta la forza lavoro in Germania è pronta allo sciopero”, dice IG Metall. Attenzione perché da queste parti i sindacati non guardano in faccia a nessuno: politici, manager. Dicono e fanno. Sono tenaci e seguono la linea. La numero uno è Daniela Cavallo.
Incontri infruttuosi
Manager e lavoratori si incontrano di continuo. C’è stato il terzo meeting di recente per scongiurare la chiusura delle fabbriche e i licenziamenti, già indicati come le uniche soluzioni possibili da parte della dirigenza. Ma si è arrivati al nulla. Inoltre, c’è il mistero sui numeri. Quante fabbriche da chiudere: almeno tre? Quanti licenziamenti: 30 mila? Incertezza che fa lievitare la paura.
Taglio allo stipendio
In più, VW chiede il taglio del 10% di stipendio. Insomma, un problema di soldi pesantissimo, come mai nella storia del colosso tedesco. Arne Meiswinkel, capo negoziatore della Volkswagen AG: “Siamo molto preoccupati per l’attuale tendenza nel settore automobilistico in Europa, e in particolare in Germania come sede aziendale. Il deterioramento delle cifre della Volkswagen per l’ultimo trimestre sottolinea, in particolare per il marchio Volkswagen con un margine di solo il 2,1 percento, lo rende particolarmente chiaro. Se rimaniamo a questo livello, non saremo in grado di finanziare il nostro futuro. Le operazioni di successo sono un prerequisito per la sicurezza del posto di lavoro. E questo è il nostro obiettivo. Quindi una delle cose che dobbiamo fare è ridurre i nostri costi di manodopera”.
Governo debolissimo
Ad aggravare il tutto, un governo tedesco fragilissimo. Pur di andare al potere, i politici hanno piazzato numerose promesse euro green irraggiungibili, con la coalizione “semaforo” al formata da SPD (centro-sinistra), Verdi e FDP (liberali). Il 12 novembre il cancellerie Scholz ha annunciato in diretta di aver licenziato il ministro delle Finanze e leader dell’FDP, Christian Lindner. Siamo alla paralisi: la guerra in Ucraina ha interrotto i flussi energetici dalla Russia, di qui la telefonata (drammatica sotto il profilo politico) di Scholz a Putin. La transizione, pensata malissimo, è un costo piuttosto che un’opportunità. In quanto all’auto, c’è stato un mezzo accenno a vaghi ecoincentivi pro domanda e pro offerta. Il solito chiacchiericcio politico senza risultati.