Le Case auto nell’Ue hanno ancora poche settimane di respiro: sarà il 2025 il vero anno orribile per loro. L’anno prossimo, scatteranno infatti i nuovi limiti imposti dalla regolamentazione CAFE (Corporate Average Fuel Economy). Prematuro guardare al 2035, la data che segnerà la fine delle vendite di vetture con motore endotermico nell’Unione europea. In base alla normativa, il prossimo anno le Case europee dovranno ridurre le emissioni medie dei veicoli nuovi da 116 grammi per chilometro a 94,6 g/km. Se no, sanzioni fino a 95 euro per ogni grammo per chilometro in eccesso, moltiplicato per il numero di veicoli commercializzati. Qualcosa varia in base alla massa dei veicoli. Soluzione: immatricolare più del 20% di vetture elettriche.
Ma che modo è di spingere per l’auto elettrica?
Serve ragionevolezza e pacatezza. Non è ammissibile che la politica Ue spinga per l’auto elettrica minacciando le multe. Sì al full electric, ma con maniera, con pianificazione, con oculatezza. In stile Cina. Così invece siamo un esercito in fuga che spara alle galline.
Il terribile bivio
Oggi, la quota di mercato dei veicoli elettrici in Europa è inferiore al 15%? Raffaele Fusilli, amministratore delegato di Renault Italia, vede un bivio.
Uno. Pagare multe fino a 16 miliardi di euro (13 miliardi per le vetture e più di 3 per i van) che sottrarranno così risorse alla accelerazione della transizione e a nuovi investimenti.
In alternativa, due. Decidere, per non pagare le multe, di ridurre le vendite di vetture non elettriche. L’Acea, l’Associazione dei costruttori europei dell’auto, ha stimato che occorrerebbe stoppare la produzione di 2 milioni di macchine e di 700 mila van. Tradotto: significherebbe chiudere oltre otto fabbriche per un anno. Con ripercussioni drammatiche sull’occupazione e sull’economia europea.
Tempo cercasi
Di fronte a questa stretta, serve un rinvio al 2027 per l’introduzione dei limiti. Il mercato non è ancora pronto: la transizione all’elettrico è frenata dalla mancanza di infrastrutture adeguate, di incentivi per i consumatori su base europea e da difficoltà produttive, dice l’ad Renault Italia.
Europa, così non va
In Europa si regolamenta e si impongono multe, mentre gli Stati Uniti stimolano massicciamente la domanda e i cinesi varano sostegni per 230 miliardi di dollari lungo tutta la catena del valore. L’Ue rischia di rimanere schiacciata, incapace di competere con mercati che investono strategicamente nella loro crescita, aggiunge Fusilli.
Quale soluzione per il capo di Renault Italia
Uno. Una politica industriale unitaria che metta intorno ad un tavolo tutti i giocatori (aziende, scienziati, associazioni, sindacati e organizzazioni non governative) con un approccio strategico di sviluppo. Non c’è bisogno di un sistema basato sull’introduzione continua di nuove norme, scadenze e sanzioni (10 regolamenti l’anno).
Due. Adottare un approccio orizzontale, non solo verticale. Il prodotto finale (l’auto) e le sue tecnologie non possono essere gli unici aspetti considerati. Per accelerare la diffusione della mobilità elettrica si deve garantire che l’energia utilizzata sia a emissione zero e disponibile in quantità sufficiente, sostiene Fusilli.
Il nostro commento
Tutto vero. Concordiamo col capo di Renault Italia. Problema numero uno: Francia, Germania e Spagna non appoggiano la proposta italiana di revisione urgente del regolamento sulla CO2. Hanno lasciato l’Italia da sola. Senza big. Sono otto nazioni deboli nell’Ue. L’Italia è per il no. Con Austria, Bulgaria, Polonia, Romania e Slovacchia, più Malta nelle ultime ore. Otto in tutto. Allora, i Paesi in tutto sono 27. Otto Italia inclusa si sono opposti; 19 seguono Bruxelles alla lettera. Di questi 19, i tre big Francia, Germania e Spagna. Purtroppo, è una minoranza debole: c’è stata una bassissima convergenza.
Problema numero due: questa Commissione Ue, che dovrebbe governare, è fragilissima. Come fa ad apportare modifiche se la sua maggioranza è così precaria? Insomma, come fa la tecnocrazia Ue ad abolire la tecnocrazia?