Proprio all’inizio di questo mese, Renault ha dato vita ad una mossa che ha destato una certa sensazione. La casa francese, infatti, ha reso disponibile gratuitamente a chiunque lo desiderasse il suo sistema brevettato Fireman Access. Una mossa che ha destato non poca curiosità, proprio perché all’apparenza sembra non rispondere ad una logica commerciale.
Occorre però sottolineare che la decisione in questione ha già avuto più di un precedente. In questa analisi andremo quindi a vedere quali altre case hanno disposto provvedimenti analoghi e, soprattutto, quali sono i motivi che le hanno spinte in tal senso. A parte la generosità, ovviamente.
Cosa ha fatto Renault?
Gli incendi di cui sono spesso vittime le auto elettriche stanno assumendo aspetti preoccupanti agli occhi dell’opinione pubblica. Se non sono moltissimi gli episodi in questione, quando un EV va in fiamme si rischia il disastro, obbligando i vigili del fuoco ad interventi lunghissimi e non poco dispendiosi.

Renault ha però trovato una soluzione al problema rappresentato dalla batteria bruciata, ovvero Fireman Access. E invece di sfruttarla in solitudine ha deciso di distribuirla ai produttori di automobili e ai fornitori di componenti sotto forma di licenze gratuite. In pratica, il sistema brevettato dal gruppo francese fornisce accesso alla batteria da parte dei vigili del fuoco. A renderlo possibile l’apposizione di un disco adesivo su un’apertura sulla batteria. Il calore sprigionato in un incendio renderebbe troppo caldo il veicolo per dar modo ai pompieri di avvicinarsi. Possono però ovviare al problema rimuovendo il disco con un getto d’acqua dal loro tubo, consentendo in tal modo all’acqua di entrare nelle celle della batteria al fine di impedire la fuga termica .
Naturalmente, per poterlo fare è fondamentale che i vigili del fuoco arrivino sul posto rapidamente, in quanto una volta che l’incendio raggiunge le celle della batteria, è quasi impossibile fermarlo finché non si è spento. Al tempo stesso, si tratta di un enorme passo avanti. Tale da far meritare il generale apprezzamento a Renault per aver rilasciato una tecnologia in grado di far risparmiare tempo ai vigili del fuoco e salvaguardare, per quanto possibile veicoli e proprietà.
Il precedente di Volvo
Renault, però, non è il solo marchio ad aver agito con generosità, mettendo in comune un brevetto che può valere molto. Un precedente ormai conosciuto è quello della cintura di sicurezza a tre punti, che ha visto protagonista Volvo.
La genesi di questa donazione è da ravvisare in un evento tragico, quello rappresentato dal decesso di un familiare di Gunnar Engellau, presidente della casa svedese. Avvenuto durante un incidente stradale in cui la cintura di sicurezza dell’epoca, a due punti si dimostrò inadeguata. Proteggeva infatti il viaggiatore legandone il grembo, senza però impedire alla parte superiore del corpo di andare in avanti.

La cintura di sicurezza a due punti è stata, fino agli anni ’50, quella in vigore. Ma non per le sue prerogative, bensì per la pratica mancanza di alternative. Se era la norma accettata, in Volvo qualcuno ha pensato un bel giorno di dar vita a qualcosa di migliore.
Il risultato è stato quella a tre punti, che ha subito denotato un miglior comportamento. È infatti dimostrato che una cintura di sicurezza simile è in grado di ridurre del 50% le probabilità di lesioni e morte. Volvo conosceva alla perfezione le implicazioni della sua scoperta. Non ha però voluto speculare su una cosa così importante, rilasciando il brevetto, rendendolo gratuito per chiunque e per tutti. A parziale consolazione della casa nordica un grande ritorno sotto forma di reputazione. Che Volvo ha continuato a incrementare con la decisione di dare vita ad un team dedicato di investigatori di incidenti. I quali sono in grado di fare un lavoro migliore delle agenzie statali preposte.
I precedenti di Tesla e Toyota
A Volvo, dovrebbero poi essere aggiunte Toyota e Tesla. Per quanto concerne la seconda, fu Elon Musk a rendere pubblici molti dei suoi brevetti tecnologici per veicoli elettrici, nel 2014. Queste le parole che accompagnarono l’operazione: “Se spianiamo la strada alla creazione di veicoli elettrici avvincenti, ma poi mettiamo mine antiuomo sulla proprietà intellettuale alle nostre spalle per inibire gli altri, stiamo agendo in modo contrario a quell’obiettivo. Ridurre le emissioni è un obiettivo globale e Tesla mira a raggiungere collettivamente questo obiettivo aprendo i suoi brevetti sulla tecnologia dei veicoli elettrici a un uso più ampio”.
Nel caso di Toyota, nel 2019 ha concesso licenze esenti da royalty su circa 24mila brevetti di sua proprietà per tecnologie legate all’elettrificazione dei veicoli, in particolare quelli ibridi. Tra di essi quelli concernenti i motori elettrici, le unità di controllo della potenza e i controlli di sistema, gravati in caso contrario di un periodo di sovvenzione che sarebbe durato fino alla fine del 2030.
Ecco il comunicato emesso all’epoca dal costruttore giapponese, a giustificazione della decisione: “Concedendo brevetti royalty-free e fornendo supporto tecnico per i nostri sistemi di elettrificazione dei veicoli, speriamo di promuovere ulteriormente l’uso diffuso di veicoli elettrificati. Così facendo, speriamo di aiutare i governi, le case automobilistiche e la società in generale a raggiungere gli obiettivi relativi al cambiamento climatico”.
Una saggia politica commerciale
A questo punto occorre sottolineare che tali concessioni rappresentano una cortesia, ma sono ispirati da ben altro ragionamento. E infatti, sia i programmi Toyota che Tesla menzionano requisiti e alcuni costi nascosti. Nel primo caso l’accordo menzionava la fornitura di un “supporto tecnico a pagamento”. Sebbene la tecnologia fosse disponibile, la sua comprensione era pressoché impossibile per la molti esterni.
C’era inoltre l’obbligo di stipulare un accordo di licenza e una clausola di “grant-back”, tesa a trasferire la proprietà o, almeno, limitare il controllo di qualsiasi invenzione sviluppata dal licenziatario relativa alla tecnologia dei brevetti royalty-free di Toyota.

Il programma di Tesla differiva da quello di Toyota in quanto al suo interno si affermava l’impegno a non avviare una causa contro alcuna parte per violazione di un brevetto Tesla tramite attività relative a veicoli elettrici o apparecchiature correlate, almeno fintantoché tale parte agirà in buona fede. Il problema è che si tratta di una formula ambigua, tale da lasciare la questione nel limbo dell’indefinitezza.
Tesla, inoltre, dichiara che agli utenti dei suoi brevetti esenti da royalty non solo è vietato avviare controversie contro di essa in merito alla violazione di brevetti, ma anche in relazione a qualsiasi altra forma di abuso della proprietà intellettuale. Un novero in cui rientrano la violazione di marchi e copyright e l’appropriazione indebita di segreti commerciali.
Proprio a proposito di Tesla, occorre sottolineare quanto affermato dagli autori di Medium.com, nel loro articolo The Genius Behind Tesla’s Patent Giveaway: How Elon Musk Played the Game to Win Big. Ovvero che Tesla rendendo pubblici i brevetti ha rimosso due ostacoli significativi, le limitate dimensioni del mercato dei veicoli elettrici e la carenza dell’infrastruttura di ricarica. In effetti li ha risolti entrambi, assicurandosi al contempo di restare all’avanguardia.