C’è stato un tempo in cui una piccola Renault poteva davvero rivelarsi un sogno a quattro ruote che per alcuni fortunati è divenuto anche realtà. Stiamo parlando non di una city car francese qualunque, ma di un modello mitico: la Clio V6.
La sua genesi affonda le radici a fine anni ’Novanta, quando Renault lanciò la Clio V6 Trophy, una competizione monomarca nata per promuovere la nuova generazione. Nel 1998, al Salone di Parigi, la concept stradale basata su questa auto fece scalpore, spingendo la Casa francese a collaborare con Tom Walkinshaw Racing per trasformarla in realtà. Nonostante non sia di certo passata alla storia, rappresenta un momento di gloria per una già celeberrima city car apprezzata in tutto il globo.

Così nacque la Clio V6 Fase 1, dotata di carreggiate allargate, assetto dedicato, sedili posteriori rimossi e, al loro posto, un motore (appunto) V6 3.0 litri da 227 CV montato centralmente e scaricato sulle ruote posteriori. Tra il 2001 e il 2002 ne furono costruite poco più di 1.600, ma la fama di “difficile da domare” non tardò ad arrivare.
La Fase 2, lanciata nel 2003, corresse il tiro. Sempre curata da TWR ma con affinamenti Renault Sport, guadagnava 252 CV, sospensioni evolute, carreggiate più ampie e un telaio più rigido. Più bella, più solida, ma anche più guidabile. All’interno, il cruscotto richiama quello delle Clio, per così dire, standard, ma appena si gira la chiave, tutto cambia. Il sound del motore, la risposta dell’acceleratore, la guida coinvolgente e genuina, rendono l’esperienza profondamente analogica e intensa.

Ci potrebbero essere dei difetti “classici”, come il raggio di sterzata ridotto, lo sterzo pesante, ma forse è proprio questo il bello. La Clio V6 è un’auto da “sentire”, non da filtrare. Pur non trasmettendo una fiducia assoluta nelle curve più impegnative, e pagando il peso extra rispetto alla più mansueta e classica Clio, la V6 resta un’icona assoluta.