Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti si avviano verso il loro epilogo. Le ultime settimane prima del redde rationem tra Kamala Harris e Donald Trump si preannunciano molto intense e anche il settore automobilistico è stato coinvolto nel dibattito tra democratici e repubblicani.
E proprio ad un settore in difficoltà, ma fondamentale anche in ottica occupazionale, è rivolta l’ultima proposta del candidato repubblicano: rendere deducibili dalle tasse i prestiti per l’acquisto di automobili. L’idea è stata lanciata nel corso di un intervento al Detroit Economic Club. Andiamo quindi a vedere meglio di cosa si tratti.
Donald Trump propone la deducibilità dei prestiti per le auto
In un discorso durato quasi due ore presso il Detroit Economic Club, l’ex presidente di nuovo in corsa per la Casa Bianca ha lanciato l’ultima idea per cercare di conquistare gli addetti al settore automobilistico. Ovvero rendere deducibili dalle tasse i prestiti cui le famiglie ricorrono per rendere più sostenibili gli acquisti. Se non è entrato nello specifico, secondo molti osservatori la sua proposta potrebbe essere ispirata alla detrazione degli interessi sui mutui per la casa che esiste da più di un secolo.
Una mossa di questo genere potrebbe in effetti garantire benefici agli interessati. Aiuterebbe non solo ad abbassare i costi per i mutuatari, ma anche a rendere più allettante l’acquisto di veicoli, sostenendo di conseguenza un settore che risente della crisi in atto. Queste le parole con cui il candidato repubblicano ha presentato la sua nuova idea, riportate dal Detroit Free Press: “Questo stimolerà una massiccia produzione automobilistica nazionale e renderà la proprietà di un’auto notevolmente più accessibile per milioni e milioni di famiglie lavoratrici americane”.
Naturalmente, il discorso è stato di ampio respiro ed è andato a coprire molti altri argomenti. Al tempo stesso Trump si è soffermato a lungo sul settore automobilistico. In particolare, ha cercato di far entrare le esigenze dello stesso nella sua idea di America. Nel farlo ha posto particolare enfasi sulla necessità di costruire autoveicoli lungo i confini nazionali. Con un occhio anche alle auto elettriche cinesi, che mostra evidentemente di detestare. Tanto da proporre l’utilizzo dei nuovi dazi sulle auto importate per la riduzione del gigantesco debito pubblico nazionale.
Intanto UAW si scaglia contro il candidato repubblicano
Come al solito, Trump non ha potuto fare a meno di intemperanze che rischiano di diventare proverbiali. Nonostante giocasse a Detroit, infatti, il tycoon non ha mancato di continuare a criticare il centro del Michigan, come del resto fatto lungo tutto il corso della sua visita in città. Tanto da affermare in modo sprezzante: “Tutto il nostro Paese finirà per essere come Detroit se Kamala Harris verrà eletta”. Per poi aggiungere di vedere la città alla stregua di una nazione in via di sviluppo e affermare che la sua rinascita, promessa da tempo non sarebbe mai arrivata realmente.
Le parole di Trump, riportate da CNN, si riferiscono al fatto che Detroit ha dichiarato bancarotta nel 2013. Dalla quale, però, sembra essersi ripreso bene nel corso degli ultimi anni. Ha però vissuto l’abbandono di General Motors, tanto che il Renaissance Center potrebbe essere demolito. Le parole dell’ex presidente difficilmente saranno prese bene dalla cittadinanza, che si è rimboccata le maniche per ovviare al disastro di un decennio prima.
Da questo punto di vista, occorre sottolineare l’accoglienza ad esse riservata da Shawn Fain, il potente numero uno del sindacato United Auto Workers. Proprio lui, infatti, ha bollato Trump come un vero e proprio “killer di posti di lavoro”. Per poi rincarare la dose, affermando che centinaia di migliaia di posti di lavoro nel settore automobilistico sarebbero a rischio nel caso di un suo ritorno nello Studio Ovale.
Il rapporto di Donald Trump coi sindacati automobilistici rappresenta un’incognita
Shawn Fain ha inizialmente sostenuto Joe Biden per le elezioni di novembre. Dopo il ritiro di questi ha quindi fornito il suo sostegno alla candidata democratica Kamala Harris. Un sostegno derivante dal fatto che proprio i democratici hanno indirizzato una marea di soldi verso l’industria automobilistica, in particolare quella dei veicoli elettrici. Un paradosso, se si considerano le accuse alle sovvenzioni cinesi, che però è stato molto gradito da Fain.
Dall’altra parte, infatti, Trump ha minacciato di abrogare gli stessi investimenti. Di recente, JD Vance, indicato come vice in caso di affermazione repubblicana, ha rifiutato di impegnarsi a mantenere un investimento di 500 milioni di dollari per aiutare GM a convertire uno stabilimento Cadillac in un sito per costruire veicoli elettrici. Per Fain è stato facile rilevare che l’annullamento di tale investimento potrebbe mettere a rischio 650 posti di lavoro a Lansing, proprio nel Michigan.
Durissime le sue parole, su Trump: “Il killer di posti di lavoro in capo è di nuovo tornato in Michigan per fare ciò che sa fare meglio: mentirà sul fatto di riportare indietro i nostri posti di lavoro, e non è una novità”. Per poi aggiungere: “Abbiamo visto questa stessa canzone e danza da Trump più e più volte, ma la realtà è che Trump non ha mai riportato indietro nulla. È molto più grande del semplice investimento di Lansing Grand River. Sono fabbriche in tutti gli Stati Uniti e fabbriche di filiera in tutti gli Stati Uniti che vengono messe in pericolo ora. Quindi stiamo parlando di centinaia di migliaia di posti di lavoro che Donald Trump sta semplicemente cancellando”.
L’entourage di Trump respinge le accuse
L’entourage di Trump ha naturalmente respinto le accuse al mittente. Nel farlo ha messo in rilievo come quasi il 60% dei membri di un altro sindacato, The International Brotherhood of Teamsters, sostengono la candidatura dell’ex presidente per un secondo mandato, come riportato dal Washington Times. Fain, dal suo canto, afferma che i sondaggi interni all’UAW mostrano che il 65% dei membri del sindacato ha costantemente votato per i candidati democratici. E potrebbe farlo anche in questa occasione.
Il problema è che mentre Trump può fare ricorso alle semplici promesse, i democratici hanno in effetti riversato una pioggia di risorse sul settore. E, soprattutto mostrato di credere alla transizione energetica. Mentre l’ex presidente ha ormai da tempo bollato questo sostegno come un suicidio, soprattutto alla luce dell’offensiva cinese. Tanto da giudicare impossibile o quasi resistere, affermando la necessità di tornare ai motori termici. Un atteggiamento che potrebbe costargli caro nelle urne elettorali.