Non solo Dongfeng, anche Chery è interessata all’Italia

Dario Marchetti Autore
Al momento si tratta di semplici indiscrezioni, che non sembrano però fantasiose
Chery Little Ant

Mentre proseguono le trattative tra Unione Europea e Cina sulla questione dei dazi UE sulle auto elettriche cinesi, continuano a inseguirsi le indiscrezioni che vorrebbero i costruttori del gigante asiatico interessati all’Italia. L’ultima in tal senso è quella relativa a Chery, la quale va quindi ad aggiungersi all’ipotesi Dongfeng che ha però perso quota nelle ultime settimane, a causa dell’appoggio del governo Meloni alle tariffe aggiuntive applicate dalla Commissione Europea nei confronti dei prodotti provenienti dalla Cina.

Anche Chery sarebbe interessata ad aprire uno stabilimento in Italia

Nel corso del recente Chery Global Innovation Conference 2024, tenutosi a Wuhu il 18 ottobre, il Vice Presidente di Chery Automobile, Charlie Zang, non ha nascosto che tra i prossimi obiettivi del marchio c’è anche l’inaugurazione di un nuovo sito produttivo lungo il vecchio continente.

Non si tratta di una ipotesi sorprendente, considerato come molte aziende dell’automotive cinese abbiano in mente di aggirare i nuovi dazi sbarcando direttamente nell’Eurozona. A destare sorpresa è invece il fatto che anche per Chery si parli di Italia. Soprattutto alla luce del recente forfait di Dongfeng, che ha deciso di cassare tale ipotesi dopo l’appoggio del governo italiano ai dazi UE.

A lanciare le indiscrezioni sono state le solite fonti ben informate che sono di prassi quando manca l’ufficialità. Secondo le quali i contatti con il governo Meloni sarebbero già stati avviati, in particolare con il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

Una ipotesi da salutare positivamente

Le notizie relative a Chery vanno valutate da diversi punti di vista. Il primo è quello relativo al fatto che in questo momento i rapporti tra Cina e Italia non sono propriamente ai massimi storici. Il governo di centrodestra ha infatti non solo cassato la Via della Seta siglata in precedenza da Giuseppe Conte, ma anche appoggiato senza remore i dazi aggiuntivi di Ursula Von der Leyen.

Chery Little Ant

La Meloni non è comunque sola, su questa strada, anche se l’Europa si è praticamente spaccata, con la Germania a guidare il gruppo dei contrari e un gran numero di Paesi che hanno pensato bene di astenersi. Probabilmente per non incappare nelle ire di Pechino e lasciarsi aperta una porta per eventuali e sempre benvenuti investimenti da parte delle imprese del Dragone.

Il secondo aspetto da tenere in considerazione è poi quello relativo alle sempre più evidenti frizioni con Stellantis. Il disastro produttivo del gruppo italofrancese sta provocando un vero e proprio terremoto in Italia. Con la FIOM che addirittura indica l’azienda come responsabile della desertificazione di Mirafiori. Un trend che preoccupa anche l’indotto, non a caso favorevole all’arrivo di produttori cinesi, i quali permetterebbero di non disperdere un’esperienza straordinaria nella componentistica.

In questo quadro non stupirebbe eccessivamente un cambio di linea da parte dell’esecutivo. I cinesi saranno pure comunisti, ma portano denaro fresco prezioso e, soprattutto, la possibilità di entrare in un sistema che potrebbe dare nuova linfa all’automotive italiano. Tanto più preziosa considerato come il governo Meloni si sia impegnato a lavorare per rendere possibile la produzione di un milione di auto sul territorio nazionale. Obiettivo assolutamente al di fuori della portata della sola Stellantis.

A proposito di Chery

Chery è attiva ormai dal 1997, con diramazioni commerciali che si dipartono dal suo quartier generale di Wuhu. Al momento è il più grande gruppo esportatore cinese, grazie ad una produzione pari a 1,8 milioni di esemplari all’anno, di cui la metà diretta ai mercati esteri. Ad esempio quelli della famiglia Tiggo che sono già presenti in Italia essendo importati e finalizzati da DR Automobiles Group a Macchia d’Isernia.

Omoda 5

Per il mercato europeo, proprio quest’anno sono stati varati i marchi Omoda e Jaecoo, che presentano una gamma in cui i SUV sono in grado di offrire motorizzazioni a benzina, ibride plug-in o veicoli full electric.

Chery ha già espresso la sua strategia “In Europe for Europe”, esplicitando la volontà di avviare sul territorio attività di ricerca e sviluppo rivolte alla produzione di modelli destinati al mercato europeo. Se al momento le fasi finali di assemblaggio di alcuni modelli avvengono in uno stabilimento spagnolo rilevato da Nissan, un impianto in cui condurre l’intera produzione lo metterebbe al riparo dai dazi. Ecco perché si susseguono le voci relative all’Italia.

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