Micro, la casa svizzera nota per la produzione della microcar elettrica Microlino, ha avanzato una precisa richiesta nei confronti dell’Unione Europea: inserire anche i veicoli di categoria L7e nella flotta CO2. Una richiesta motivata dal fatto che, in tal modo, sarebbe possibile trarre vantaggio dagli stessi incentivi che sono al momento riservati ai costruttori di automobili tradizionali.
Una richiesta la quale sembra fatta apposta per inserirsi nella discussione in atto sul futuro dell’automotive continentale. Precede infatti di qualche settimana la presentazione del piano d’azione scaturito dal Dialogo Strategico in corso tra la Commissione Europea e i rappresentanti dell’industria automobilistica europea. Un modo per mettere le mani avanti e segnalare le opportunità che le microcar potrebbero prospettare alla stessa.
Le motivazioni di Micro
È la stessa Micro a segnalare il fatto che le microcar elettriche sembrano in grado di dare risposte esaurienti alle esigenze di mobilità dei consumatori europei e a quelle di dare vita ad un nuovo modello di mobilità sostenibile. Se i conducenti del vecchio continente percorrono in media circa 30 chilometri al giorno, a ciò va aggiunto come le microcar vadano ad occupare meno spazio e a consumare un quantitativo minore di energia. Inoltre, fattore che dovrebbe pesare nella discussione su un modello di trasporto in grado di impattare con minor forza sull’ambiente, vanno a generare il 90% in meno di polveri sottili rispetto a quanto prodotto da un Suv.
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Equiparando le microcar alle automobili tradizionali, secondo Micro, si aprirebbe per queste vetture la possibilità di avere accesso agli incentivi europei. Con un conseguente una riduzione in termini di prezzi, tale da spingere un numero maggiore di consumatori a considerarle alla stregua di alternativa reale per la mobilità urbana.
A questa motivazione si andrebbe ad aggiungere un’altra constatazione dirimente: trattandosi di una categoria esclusivamente europea i sussidi andrebbero a valorizzare l’innovazione e la produzione locale. Ponendo argine all’avanzata dei produttori cinesi nel continente. Un argomento il quale, in effetti, potrebbe spingere la Commissione Europea a prendere in considerazione la questione.
Può essere una buona notizia, per l’Italia?
Occorre sottolineare come la questione delle microcar interessa anche all’Italia. La crisi in cui versa il settore automotive tricolore, infatti, proprio di recente ha spinto il governo a indicare nelle microcar una possibile soluzione. Una soluzione ispirata alle kei car giapponesi, vetture di modeste dimensioni, elettriche e, soprattutto, economiche.
Alla luce delle difficoltà a vendere in Italia auto elettriche troppo costose per i livelli salariali tipici del mercato del lavoro nostrano, le microcar sembrano prospettarsi in termini di soluzione ideale per una mobilità sostenibile e avanzata dal unto di vista tecnologico.
Non pochi osservatori, si stanno però ponendo una domanda ben precisa: le microcar sono davvero in grado di funzionare, lungo le strade peninsulari? Secondo molti di loro la risposta sarebbe negativa. Indirizzati in tale direzione dalla constatazione che in Giappone, le kei car traggono il senso della loro esistenza dal fatto di essere usate sin dall’immediato dopoguerra.
La loro nascita, in particolare, è stata favorita dalla necessità di dare risposte fattibili e concrete al problema della mobilità urbana, con un approccio pratico. Una di queste è appunto rappresentata da veicoli compatti, semplici non solo da produrre, ma anche da mantenere. Integrati in un contesto urbano tale da consigliarne l’utilizzo, godono inoltre di incentivi fiscali mirati.
Il mercato italiano delle microcar
Occorre sottolineare a questo punto che le condizioni del nostro Paese sono diverse da quelle giapponesi. In Italia le microcar già esistono. Il settore è al momento caratterizzato da marchi come Citroën (con l’Ami), Fiat (Topolino) e Opel (Rocks Electric). Fanno quindi riferimento su un’infrastruttura industriale esistente e una rete di vendita capillare.
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E proprio questo potrebbe agevolare il piano del governo. Citroën Ami ha venduto 10mila unità circa, nell’arco di un anno, con la Topolino che si muove su volumi analoghi. Anche Nissan ha già lanciato una nanocar elettrica con batterie removibili, in collaborazione con una società spagnola. A loro vanno aggiunte piccole realtà come Tazzari, che si muovono però su livelli di prezzo elevati.
Occorre anche sottolineare come spesso non si tratti di auto elettriche, ma termiche. Non rispondenti, quindi, ai requisiti per poter godere di eventuali aiuti. Senza contare che in Italia manca un’industria delle batterie. La gigafactory di Termoli vive solo sulla carta e manca una filiera in grado di impedire l’insostenibilità delle microcar elettriche. Ove l’UE accettasse di discutere la questione, però, si potrebbe effettivamente creare uno spazio per il rilancio dell’automotive italiano, stavolta fondato sulle microcar. Ecco perché sarà interessante vedere l’evoluzione della discussione, dopo la richiesta di Micro.