hyundai nexo a idrogeno hyundai nexo a idrogeno

Mentre tutti si elettrificano, Toyota, BMW e Hyundai puntano anche su un gas quasi mitologico

L’idrogeno, però, sembra quella soluzione miracolosa che ha sempre qualcosa che non riesce a convincere del tutto.

Nel bel mezzo della rivoluzione elettrica, dove ogni nuova auto sembra voler spodestare Tesla e ogni annuncio promette 1000 km di autonomia e ricariche più veloci di una colazione al bar, c’è ancora un gruppo di aziende che guarda nella direzione opposta. O meglio, in una direzione parallela. Parliamo di Toyota, Hyundai e BMW, tre big che, a differenza di tanti altri, non hanno messo nel cassetto il sogno dell’idrogeno. Anzi, ci stanno ancora investendo miliardi come se fosse l’unica via per redimere l’industria dell’auto.

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L’idrogeno sembra quella soluzione miracolosa che però ha sempre qualcosa che non riesce a convincere del tutto. Questo elemento ha un potenziale straordinario, nessuno lo nega: rifornimenti rapidi, autonomia notevole, zero emissioni allo scarico, solo innocente vapore acqueo, e prestazioni tutto sommato dignitose. Ma nel frattempo l’elettrico a batteria è diventato l’enfant prodige, e l’idrogeno è rimasto ai margini, a guardare.

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Toyota però ha insistito con la Mirai, la prima berlina FCEV commercializzata in grande scala, ora giunta alla seconda generazione. BMW non è da meno con la sua iX5 Hydrogen, frutto di una collaborazione ventennale con Toyota, e Hyundai sta facendo le cose in grande con la nuova Nexo e con un intero piano industriale, chiamato senza mezzi termini “Hydrogen Vision 2040”, che prevede un ecosistema completo, dalla produzione al trasporto passando per lo stoccaggio e la distribuzione.

toyota mirai a idrogeno

Il problema, enorme, è che non c’è una rete di rifornimento degna di questo nome. In Italia, per esempio, ci sono solo due stazioni operative: una a Bolzano e una a Mestre. E costruirne una nuova costa tra 1 e 1,5 milioni di euro, praticamente quanto un appartamento di lusso. Inoltre, le normative sono rigide, le distanze di sicurezza obbligatorie sono importanti, e ogni stazione richiede il nullaosta dei vigili del fuoco, valvole di emergenza, sensori antifuoriuscita e un registro di manutenzione rigidissimo.

Nonostante questo scenario, l’idrogeno continua ad affascinare, soprattutto per il trasporto pesante. Camion, treni, navi e persino aerei potrebbero trarne vantaggio: lì dove le batterie pesano troppo e si ricaricano troppo lentamente, l’idrogeno offre leggerezza, flessibilità e autonomia. Proprio per questo motivo, l’Europa ha lanciato il progetto Hy2Move, un mega-finanziamento da 4,7 miliardi di euro per potenziare tutta la filiera dell’idrogeno. Anche le istituzioni, insomma, ci credono.

BMW iX5 Hydrogen
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Tornando alle auto, Toyota ha mostrato la sua fuel cell di terza generazione, più compatta, più longeva e soprattutto meno costosa da produrre. Hyundai ha aumentato potenza e capacità della batteria sulla nuova Nexo, che ora tocca i 700 km di autonomia. BMW, invece, guarda al 2028 per una produzione su scala. Tuttavia, la produzione dell’idrogeno è ancora un tasto dolente. Il metodo più diffuso – lo Steam Methane Reforming – è economico, ma produce tanta, troppa CO2. Solo con l’elettrolisi alimentata da fonti rinnovabili si può parlare davvero di “idrogeno verde”. Ma lì i costi salgono, e l’energia richiesta è tanta.

Se domani ci sarà una svolta, tecnologica, politica o industriale, chi avrà investito prima potrà dire: “Noi c’eravamo”. Ed è per questo che Toyota, Hyundai e BMW continuano a scommettere sul gas più leggero dell’universo.

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