SAIC (MG) in Spagna, Chery in Spagna, BYD in Ungheria e Turchia, Geely che porterà la Volvo EX 30 in Belgio. Questo il bollettino di guerra aggiornato al 16 luglio 2024. Noi le corteggiamo le cinesi, ma nessuna Casa auto orientale vuole costruire in Italia: restiamo un Paese sublime, però i Gruppi orientali creano fabbriche e lavoro e indotto altrove nel Vecchio Continente e a Istanbul e dintorni. Sarebbe stupido e profondamente ingiusto e scorretto dare la colpa al governo Meloni: se siamo ridotti così, se Pechino ama Spagna, Ungheria e Turchia, se siamo corteggiatlori bruttini, imbranati, poco affascinanti, le responsabilità vanno cercate anche molto lontano. Sono politiche devastanti pure dei precedenti esecutivi, e questa compagine i miracoli non può farli. Abbiamo tentato pure con Musk, di Tesla, ma per ora nulla da fare.
I produttori europei progettano in Cina, producono lì. E in Europa sfornano auto con componenti cinesi, mentre il target principale è il mercato asiatico. Gli europei hanno programmato di spostarsi nel Paese del Dragone. Difficile capire da che parte stiano i Gruppi auto. Pare che Stellantis con a capo Tavares e Renault con a capo de Meo siano pro dazi. Sembra che VW, Bmw e Mercedes siano contro.
Efficienza, velocità, creatività da noi?
Siamo meno attraenti di Spagna, Ungheria e Turchia, proiettate economicamente e socialmente nel futuro. Ci dimeniamo fra bonus, riforme di breve portata, timidi passettini in avanti, paralizzati nel fango della burocrazia che tutto uccide. L’industria automotive cinese cerca efficienza, velocità, desiderio di emergere, processi snelli, creatività, desiderio di aggredire con ferocia il mercato. Noi non abbiamo queste qualità da mettere sul piatto. Sì, c’è la storia inarrivabile e inimitabile; la cultura, la tradizione anche motoristica; l’arte, il profumo della natura. Quando si tratta di auto e di profitti, di batterie e di gigafactory, di autorizzazioni amministrative rapide, qui perdiamo tristemente. In Italia arriveranno le auto cinesi prodotte in Ungheria, Spagna, Turchia facendo concorrenza alle altre.
Quale speranza per l’automotive in Italia
Restiamo appesi ad Autobianchi e Innocenti, con l’auspicio che qualche cinese sappia chi siano quei marchi anni 1980, a chi appartengano, cosa può venirne fuori di buono. Il ministro delle Imprese Urso si prodiga, interloquisce, ma non gli si può addossare la colpa di anni e anni di scempi: all’impossibile ci pensa Qualcun altro. Occorrono tempo, tenacia e pazienza, e un pizzico di fortuna. In parallelo, non sono rose e fiori fra governo e Stellantis, per le questioni incentivi, per il famigerato milione di veicoli l’anno da sfornare in Italia, e per la produzione di auto in Serbia, Polonia e Marocco.
Dalle Olimpiadi del 1992 in Spagna, gli iberici ci hanno bevuti sotto ogni profilo. In moltissimi campi sono avanti 20 anni rispetto a noi. Si potrebbe valutare il rientro dei cervelli dei cervelli di ogni età, dai 18 ai 70 anni (sì, servono esperienza e cultura), pagando per il loro rimpatrio: bisogna sostenerli economicamente. Andrebbe prospettato al Dragone tutto e alle loro imprese, le uniche ad avere una montagna di denaro fresco da investire, che qui da noi troverebbero la vita facile: senza bluff, ma con studi e ricerche scientifiche e mirate, con le prove che siamo pronti all’elettrico come all’ibrido plug-in, passando per il termico puro, pure a livello di componentistica. Si dovrebbero semplificare costi energetici e diritto italiani. Con politici di enorme personalità pronti a portare la nazione nel futuro. La speranza è l’ultima a morire.