Guerra licenziamenti nel Gruppo Volkswagen: le famiglie Porsche e Piëch vogliono chiudere le fabbriche. Parliamo dei maggiori azionisti del costruttore tedesco. Perché il sì a tagliare? Risposta: c’è preoccupazione per la mancanza di progressi nel processo di ristrutturazione di Wolfsburg. Insomma, se i profitti calano e non si vede una soluzione, allora meglio usare le cesoie.
Frattura tremenda
La posizione delle famiglie Porsche e Piëch differisce da quella degli altri componenti del consiglio di sorveglianza: sia i membri che rappresentano i lavoratori sia il Land della Bassa Sassonia è per il no alla chiusura. Ma gli eredi del fondatore Ferdinand Porsche ritengono necessario ridimensionare l’azienda, con l’obiettivo di raggiungere la competitività a lungo termine.
Futuro scontro ancora più duro
La battaglia diverrà asperrima fra sindacato IG Metall e chi opta per le sforbiciate. Non c’è neppure chiarezza sull’entità della riduzione. Almeno tre siti? Circa 30 mila persone? Più – è certo – la decurtazione del 10% dello stipendio di chi sopravvive. I vertici della Volkswagen e i rappresentanti dei lavoratori sono (ormai da mesi) in trattative sul rinnovo del contratto di lavoro e sul piano di risparmi. Incontri inutili e anzi dannosi: la tensione cresce. Qualcuno desidera far presto, dare un’indicazione definitiva entro Natale 2024. Così però sale solo la voglia di scioperi, con la “sindacalista” Daniela Cavallo che è una guerriera indomita.
Svalutazione fortissima
Intanto, la holding Porsche e Piëch ha anticipato una svalutazione della partecipazione nella Volkswagen (detiene il 32% del capitale e il 53% dei diritti di voto) per un valore tra i 7 e i 20 miliardi di euro e di quella in Porsche per uno o due miliardi di euro. E ha cancellato le previsioni su profitti annuali tra 2,4 e 4,4 miliardi di euro, perché c’è un risultato netto significativamente negativo. E perché l’invasione cinese, con la superiorità tecnologica del Dragone, terrorizza. Il disastro nasce lì, nel Regno di Mezzo: finché la Germania ha venduto auto in Cina, la povertà del Vecchio Continente – sempre più arretrato – è passata inosservata. Da quando i marchi del Celeste Impero divorano quelli teutonici, sono dolori veri.