Auto elettrica vittima di politiche sbagliate sia a livello Ue sia a livello dei vari governi: le colonnine di ricarica pubbliche fanno guadagnare poco in Italia. Ecco perché la diffusione di stazioni per fare il pieno di elettroni nel nostro Paese – forse sufficiente per le poche full electric circolanti – non è tale da consentire il boom delle macchine a batteria. L’ansia da autonomia è un fattore che tiene i consumatori alla larga da quel prodigio tecnologico che è l’auto elettrica: pesano anche il prezzo delle vetture, il valore residuo basso e la scomodità delle stesse (legato al primo fattore). Per raggiungere gli ambiziosi target Ue (ridurre la CO2) in termini di diffusione dei veicoli elettrici, è essenziale accelerare i ritmi di implementazione delle infrastrutture di ricarica e delle politiche di supporto: lo dice il centro di ricerca REF.
Il target sulla carta
Per il 2030, il governo Meloni punta a 4,3 milioni di auto elettriche circolanti in Italia. Oggi siamo a 277.000. Né questo esecutivo né i precedenti hanno fatto granché per centrare il target. È anche vero che pandemia, svalutazione, invasione dell’Ucraina da parte della Russia, costo dell’energia stellare, dazi Ue anti elettriche Made in China e incertezza pesano.
Fornitori poco attratti
Così, i fornitori di energia (i privati) sono poco attratti dal settore. Ecco perché i bandi dello Stato sono un mezzo flop. Mancano colonnine veloci, con struttura ramificata sul territorio. In teoria, col Green Deal approvato nel 2019, e col Regolamento AFIR (Alternative Fuels Infrastructure Regulation) approvato nell’aprile 2023, gli Stati membri devono garantire una copertura minima di punti di ricarica accessibili al pubblico per i veicoli elettrici leggeri sulla rete stradale del loro territorio. Ma poi nella realtà di tutti i giorni le cose sono diverse. Basti dire che quasi il 20% delle colonnine è scollegato dalla rete: burocrazia infernale. Eppure la direttiva RED III, che ha come obiettivi nel settore dei trasporti di sostenerne l’elettrificazione, è palese: riduzione dell’intensità di gas serra del 14,5% entro il 2030 e della quota di energia rinnovabile.
Come siamo messi in Italia
Un totale, le infrastrutture di ricarica ammontano a 60.339, con forte diffusione delle colonnine di tipo Medium-Speed AC, ossia quelle con potenza compresa tra i 7,4 kW e oltre i 22kW. Insomma, il pieno lento. Siamo lontani dalla bellissima esperienza del pieno veloce di benzina e diesel. I Tesla Supercharger sarebbero da imitare. C’era da pensarci prima: un ecosistema infrastrutturale, e in un secondo momento si spingeva sulla macchina elettrica (idea geniale di Elon Musk).
Le stazioni non fanno guadagnare abbastanza
Le tariffe offerte dagli operatori sul mercato nazionale sono a consumo, pay-per-use (in €/kWh); oppure flat, attraverso la stipula di un abbonamento con uno specifico operatore. I prezzi per il servizio si formano sul mercato in regime di libera concorrenza. C’è un rischio: il basso rendimento generato da questa attività. O addirittura l’impossibilità di recuperare pienamente i costi di investimento. Il provider coinvolto nella fornitura del servizio di ricarica pubblica sono è Charge Point Operator (CPO): il proprietario dell’infrastruttura di ricarica e si occupa di installare e gestire i punti di ricarica. O è Mobility Service Provider (MSP): non possiede una propria infrastruttura di ricarica ma offre il servizio usufruendo dell’infrastruttura del CPO. Il rapporto che intercorre tra queste due diverse figure genera fa schizzare insù i costi di intermediazione. Problema: l’attività delle infrastrutture di ricarica è in sofferenza per tre motivi. Uno, elevato costo degli investimenti (la stazione vale parecchio). Due, domanda irregolare. Tre, tempi lunghi e incerti per il recupero del capitale.
Le soluzioni
Serve implementare le disposizioni contenute nella direttiva RED III a proposito dello scambio di crediti per la fornitura di energia rinnovabile al settore dei trasporti: si avrebbe un maggiore flusso di entrate per gli operatori dei punti di ricarica (CPO), che possono reinvestire nell’implementazione dell’infrastruttura di ricarica. Necessaria la defiscalizzazione delle flotte aziendali. Utile un obbligo di trasparenza su prezzi e servizi di ricarica e l’introduzione di un servizio accessibile per tutti gli utenti a qualsiasi infrastruttura.