Il Gruppo Volkswagen usa la forbice ovunque, sia in Europa sia in Cina. Nel Paese del Dragone c’è un crollo dei consumi, unito al rapido spostamento del mercato verso i veicoli elettrici: le premium a benzina vanno meno. Ed esiste la concorrenza sfrenata delle Case locali. Se l’ex Celeste Impero era ieri il regno di Wolfsburg, ora non è più così, per via degli attacchi dei costruttori oltre la Grande Muraglia. Risultato: il colosso tedesco ha iniziato a tagliare i posti di lavoro aziendali in Cina mentre lavora per ridurre le spese generali di un obiettivo del 20 percento a livello globale nei prossimi tre anni, dice Automotive News (in base a indiscrezioni non confermate). Se in Germania si parla di 30.000 licenziati, e tre fabbriche eliminate, in Cina non c’è un numero a livello di indiscrezione: comunque, preoccupante. Non solo. Si sforbicia anche su costi diretti e indiretti del personale: amministrazione, viaggi e formazione.
Joint venture con SAIC, altro problema
Volkswagen China rappresenta solo una piccola parte dei 90.000 dipendenti dell’azienda in Cina, la maggior parte dei quali sono impiegati dalla sua joint venture. VW e SAIC Motor si stanno preparando separatamente a chiudere almeno uno stabilimento. La quota di utili operativi dell’azienda dalle sue iniziative cinesi è scesa del 20 percento nel 2023 a 2,62 miliardi di euro (2,92 miliardi di dollari), ed è diminuita di circa la metà dal 2015.
La Cina non è l’Eldorado teutonico
Le consegne VW nello Stato del Dragone sono diminuite del 7,4 percento nella prima metà dell’anno a causa della forte concorrenza dei produttori locali come BYD. Giù del 24 percento lo scorso anno rispetto ai livelli del 2019. I tagli locali sono guidati dal responsabile della Cina Ralf Brandstaetter e avverranno in più fasi. Un guaio in più: la recente mossa di Pechino di aumentare l’età pensionabile del Paese. Questo ha spinto Volkswagen ad accelerare i suoi piani di tagli al personale.
Cia ciao Cina, si torna in Germania
Alcuni dipendenti espatriati verranno rimandati in Germania e alcuni dirigenti di medio-alto livello licenziati. La revisione aziendale include una riorganizzazione strutturale, la digitalizzazione dei processi, la semplificazione delle operazioni e la localizzazione di alcune attività. Efficienza, riduzione, risparmio, snellimento.
Audi sotto stress
Il marchio premium Audi (dentro il Gruppo VW) fa da sé: usa le forbici in autonomia. Un immane sforzo mondiale per abbassare i costi fino al 2026. La Casa dei quattro anelli, che ha più di 700 dipendenti in Cina, sarà duramente colpita. I marchi di lusso stranieri sono rimasti stagnanti con il crollo delle vendite di auto cinesi e il contemporaneo passaggio ai veicoli elettrici. Questo vale pure per Mercedes: ha emesso un avviso di profitto il 20 settembre nel mezzo di un rallentamento sempre più profondo nel più grande mercato automobilistico del mondo.
Preistoria del 2023
Pare preistoria quando, nel 2023, Volkswagen Group China dimostrava la forza del suo portafoglio in un contesto di mercato plasmato da un’intensa guerra dei prezzi con oltre 100 concorrenti locali. Seguendo rigorosamente un modello di business sostenibile, VW e le sue joint venture cinesi avevano consegnato 3,2 milioni di veicoli (incluse le importazioni) nel mercato cinese nell’anno di riferimento, l’1,6% in più rispetto al 2022. La quota di mercato si era attestata al 14,5 (15,1)%. Nel segmento premium e sportivo, Audi aveva consegnato 728.575 veicoli ai clienti in Cina, con un aumento significativo del 13,5% su base annua. La campagna di mobilità elettrica di VW era in linea con il suo approccio sistematico “In Cina per la Cina”. Nel segmento dei veicoli elettrici a batteria (BEV), le consegne erano aumentate del 23% a 190.820 unità. I principali motori di questo successo erano stati i modelli ID.3 e ID.4 e i modelli Audi e-tron.
Disabitudine a perdere
C’è anche un fattore psicologico fondamentale in questo tsunami che travolge VW. Da sempre, il Gruppo tedesco stravince in Germania, in Europa, in Usa, in Cina, ovunque. Al massimo, qualche piccola battuta d’arresto. Col Dieselgate 2015, pareva ci fosse la svolta green per altri trionfi globale. Da qualche tempo, arrivano le sconfitte. La società ha la disabitudine a perdere: bisogna vedere come i manager, i dipendenti, i sindacati, la stampa locale e il governo gestiranno queste cocenti sconfitte a livello globale. O si inverte la tendenza, si ribalta la partita e si torna a fare profitti; oppure il rischio è che sfortuna chiami sfortuna. Tornando indietro, chissà se il management subirebbe passivamente le scelte dei Verdi e della sinistra dell’esecutivo tedesco, che ha spinto per il bando termico nell’Ue.