Governo Meloni all’attacco dell’Ue sull’auto elettrica: due proposte

Ippolito Visconti Autore News Auto
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L’esecutivo italiano si prepara a presentare al Consiglio di Competitività del prossimo 28 novembre due proposte.

Ci siamo: governo Meloni all’attacco dell’Ue sull’auto elettrica. L’esecutivo italiano si prepara a presentare al Consiglio di Competitività del prossimo 28 novembre due proposte.

Uno. Anticipare al 2025 la revisione del Green Deal e dello stop alla vendita di auto endotermiche fissato per il 2035.

Due. Eliminare le sanzioni previste dal 2025: una richiesta in linea con quella già presentata dall’Acea (lobby auto), date le evidenti difficoltà dell’industria europea nel raggiungere i nuovi sfidanti obiettivi emissivi. Così da evitare che Bruxelles appioppi multe per 18 miliardi di euro a chi sfora il limite.

Insomma, aggiungiamo noi, qui o ci si dà una sveglia a livello politico, o crolla tutto: il Dragone ci divora vivi.

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Tecnocrazia Ue: disastro automotive

Le due richieste dell’Italia arrivano mentre il caos regna sovrano in Ue, con la tecnocrazia pasticciona (e il mercato davvero deludente). Il direttore generale di Unrae (Case estere), Andrea Cardinali, è perentorio. Analisi in tre punti.

Uno. “Il percorso di transizione energetica verso gli obiettivi del Fit for 55 appare attualmente non univoco tra i vari Paesi membri”. 

Due. “Persistono divergenze interpretative sulle modalità attuative, sui tempi di transizione e sugli impatti economici delle norme europee”. 

Tre. “Questa situazione di scarsa chiarezza, con un quadro regolatorio ancora sub judice, crea un clima di incertezza sia per le Case auto sia per gli automobilisti, ormai disorientati nell’effettuare le proprie scelte di acquisto”.

È che la Commissione Ue non esiste: maggioranza ballerina, con il conteggio quotidiano delle seggiole, dei voti. Un inferno per la sinistra green, specie quella tedesca. Tanto che il cancelliere Olaf Scholz apre il dialogo con Vladimir Putin. Intanto, la Cina osserva e ride.

Caos dazi e colonnine

Il 30 ottobre 2024, denuncia l’Unrae, sono entrati in vigore i dazi definitivi sulle importazioni di auto elettriche cinesi, ma proseguono i negoziati Ue-Cina per trovare soluzioni alternative compatibili con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale del commercio. E le infrastrutture di ricarica a livello europeo? Sono cnsiderate non ancora adeguate, come evidenziato anche nel Rapporto sulla Competitività di Mario Draghi alla Commissione europea. Per Cardinali, il guaio è che manca un cronoprogramma puntuale per lo sviluppo delle colonnine, con obiettivi chiari definiti per singola area geografica e tipologia stradale. Occorrono anche semplificazioni per accedere ai contributi per le infrastrutture private e la proroga di tali incentivi, oltre a un credito d’imposta al 50% per gli investimenti in ricariche fast charge.

Il ruolo del governo

Comunque, anche l’esecutivo italiano dovrebbe attivarsi secondo l’Unrae. In due modi.

Uno. Incentivi stabili, strutturali e corposi per l’elettrico.

Due. Revisione della fiscalità delle auto aziendali, premiando le vetture a zero e bassissime emissioni di CO2 in termini di detraibilità IVA, deducibilità dei costi e periodo di ammortamento.

Politici Ue terrorizzati

La sinistra Ue s’è ficcata in un guaio allucinante. Fra le soluzioni, quella dell rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea: mobilitare 800 miliardi di euro per l’industria. Bertrand Candelon, professore di finanza internazionale all’Università UCLouvain, non concorda con Draghi: intenti lodevoli, ma che richiedono investimenti massicci: “Mobilitare 800 miliardi di euro è un’impresa impossibile. E dato l’attuale stato delle finanze pubbliche, a beneficiarne saranno soprattutto i grandi Stati che hanno le risorse finanziarie per investire in queste industrie a zero emissioni.” Così, Cina e Stati Uniti continuano a investire massicciamente nelle proprie industrie: sono sempre più forti. Il Vecchio Continente, stritolato dalla tecnocrazia sinistroide, assiste attonito e impietrito. Dal Green Deal al Black Nightmare. Secondo i dati elaborati dall’Istituto sindacale europeo, tra il 2019 e il 2023 in Europa scompariranno 853.000 posti di lavoro nell’industria. Stando alla Banca mondiale, in Europa la quota dell’industria sul prodotto interno lordo (PIL) è passata dal 28,8% del 1991 al 23,7% del 2023, con un calo di quasi il 18% in trent’anni.

Audi Bruxelles il simbolo

Icona del dramma è Audi Bruxelles. Zero produzione, perché le elettriche non le vuole nessuno. Richiamandosi a un calo delle vendite dei modelli elettrici e agli elevati costi strutturali, la filiale del Gruppo Volkswagen ha detto addio alla Suv elettrica Q8 e-tron in Belgio. Sì alla delocalizzazione in Messico. Ora, 4.000 dipendenti diretti e indiretti sono in uno stato di incertezza. A seguire, tre fabbriche VW? Adesso 30.000 dipendenti del colosso germanico tremano. Poi l’indotto tedesco. Su Stellantis in Italia nubi nere.

Imprevedibile? Nel 2021, l’allora amministratore delegato di Volkswagen, Herbert Diess, dichiarò nel corso di una riunione del consiglio di sorveglianza che la società avrebbe potuto perdere 30.000 posti di lavoro se fosse passata troppo lentamente ai veicoli elettrici.

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