Con Stellantis in crisi profondissima, il presidente John Elkann ha ricevuto un invito dal governo italiano: venga a riferire davanti alle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato. Ma il presidente del Gruppo euro-americano ha detto no. Motivo: già l’ad Carlos Tavares aveva detto tutto quello che c’era da dire, di recente. Zero da aggiungere.
Meloni contro Elkann: toni duri
C’è stata la telefonata dello stesso Elkann al presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Obiettivo: ribadire l’apertura al dialogo con tutte le istituzioni e dare nuove rassicurazioni sull’impegno industriale di Stellantis verso il Paese. La precisazione di Elkann: “In questi decenni gli stipendi, gli oneri fiscali e previdenziali versati, la bilancia commerciale, gli investimenti fatti e le competenze che abbiamo formato, hanno superato di gran lunga i contributi ricevuti in Italia. E lo rivendichiamo con orgoglio visto che Stellantis, dalla nascita nel 2021, ha investito 2 miliardi l’anno. E con quello in corso siamo a 6 miliardi”.
Un rifiuto stigmatizzato dal premier Giorgia Meloni: “Avrei evitato questa mancanza di rispetto per il Parlamento. Temo che a Elkann sfuggano i fondamentali della Repubblica italiana. Noi abbiamo fatto diversi Tavoli con Stellantis, ma non hanno portato agli accordi di sviluppo. Quando il governo mette dei soldi, sono soldi degli italiani, che si possono spendere se questi ultimi ne traggono beneficio. Il 70% delle risorse per gli incentivi sono servite a comprare auto non prodotte in Italia, anche questa è una riflessione da fare, fermo restando che dovrebbe andare ad ascoltare quello che il Parlamento ha da chiedergli”.
Meloni: alla pari, zero sudditanze verso Stellantis
Ancora il premier: “Oggettivamente è un dialogo che continueremo a fare come lo facciamo con tutti, senza sudditanze e senza condizionamenti. Ciò non toglie che sarebbe stato più che sensato andare in Parlamento ad ascoltare che cosa il Parlamento della Repubblica italiana, nazione che a quella che oggi è Stellantis ha dato moltissimo, avesse da dire all’azienda”.
Gusmeroli ci va giù pesante
“Tavares è pro tempore, Elkann è invece presidente e azionista di Stellantis: una differenza sostanziale”, il punto di vista di Alberto Gusmeroli, deputato con la Lega Nord, il quale ha sottolineato, nella lettera al presidente di Stellantis, la necessità “di un dialogo franco e rispettoso” con l’istituzione. Il Parlamento intende conoscere nel concreto quale piano ha Stellantis, in merito soprattutto alla continuità produttiva e al mantenimento dei posti di lavoro in Italia. “E il raggiungimento di questi obiettivi – scrive Gusmeroli – non può prescindere da una continuativa e sinergica interlocuzione tra impresa e istituzioni pubbliche, improntata al benessere di tutta la collettività”.
Gelmetti: “Elkann ha paura”
Si alzano i toni. Il commento di Matteo Gelmetti, senatore di Fratelli d’Italia: “La reticenza con la quale Elkann si rifiuta di essere audito in Parlamento ci fa sorgere il legittimo dubbio che abbia paura a parlare”.
“Sì che ci verrà”
Quindi Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, dice: “È sconcertante che l’erede di chi è stato molto bravo a socializzare le perdite e privatizzare gli utili della Fiat snobbi il Parlamento”. Il segretario di Azione, Carlo Calenda: “È un grave sgarbo istituzionale. Ma Elkann verrà in Parlamento, insisteremo: ha il dovere di rispondere”.
Che disastro
Certo che ieri i rapporti fra governo e Stellantis erano tesi: ora sono pessimi. Uno via l’altro, i guai per gli incentivi chiesti e non dati, la produzione di un milione di auto l’anno in Italia per il 2035, le bandierine italiane sulle macchinine fatte in Marocco. E poi, battute, ripicche, allusioni. Tutto questo fa malissimo, specie alle vere vittime: i dipendenti. E l’indotto. Tutti tremano all’idea che le cose peggiorino ulteriormente. Sullo sfondo, la vicenda VW che è da panico generale. Intanto, il ministro Urso ha intanto convocato il tavolo Stellantis il prossimo 14 novembre. Con l’azienda, ci saranno i sindacati, i rappresentanti delle Regioni che ospitano gli stabilimenti e l’Anfia (filiera italiana). E nel frattempo il governo toglie soldi all’auto. È caos senza ritorno.