Dal sogno di un milione di auto l’anno fatte da Stellantis in Italia, all’incubo delle fabbriche sottoutilizzate, tanto da scendere a mezzo milione. Per questo, alla fine, i rapporti fra l’ex Ceo Tavares e il governo Meloni erano pessimi. Il capo di Stellantis Europe Jean-Philippe Imparato incontrerà il 17 dicembre il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, e i sindacati, nella speranza di raggiungere un accordo per salvaguardare i 40.000 posti di lavoro della Casa automobilistica nel Paese. L’esecutivo è disposto a collaborare sulla strategia, a condizione che il Gruppo mantenga posti di lavoro e fabbriche nella nazione, ha affermato domenica il primo ministro Giorgia Meloni. “Valutiamo i casi economici in base ai loro meriti”, ha detto il leader di Fratelli d’Italia a un evento del suo partito a Roma prima dell’incontro di domani, 17 dicembre anche coi sindacati locali. “Questo vale per Stellantis come per qualsiasi altra azienda che opera in Italia. Se l’approccio è costruttivo, se c’è la volontà di mantenere fabbriche e posti di lavoro, saremo pronti a fare la nostra parte”.
La Cina è fin troppo vicina
Il problema è che il mercato Ue risulta asfittico, coi prezzi delle vetture stellari. In Italia non si vendono più auto nuove. E per le elettriche la domanda è bassissima, come dimostra il flop della 500 a batteria. La concorrenza cinese è devastante, anche nell’ibrido plug-in. Come rianimare i 14 marchi tra cui Jeep, Ram, Fiat e Peugeot? Ci sarebbe anche il numero 14, Leapmotor, il cinese un po’ misterioso, di cui si sa poco: comunque, non è di certo l’alleato di enorme peso tipo BYD o CATL.
Dito puntato contro Tavares
I politici italiani hanno ripetutamente accusato l’ex Ceo di trascurare i siti produttivi storici e di spostare la produzione all’estero. Urso attacca: “Ci deve essere un piano Italia assertivo che protegga le fabbriche nazionali. Non c’è più Tavares, non ha capito la realtà”.
Gigafactory sparita
All’incontro anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, quello del Lavoro Marina Calderone, i presidenti delle Regioni sede di stabilimenti di Stellantis, e l’Anfia (associazione della componentistica). I sindacati desiderano chiarimenti sulla Gigafactory di Termoli, in Molise, dopo l’investimento dell’azienda in Spagna. Ma Acc (la joint venture tra Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies) comunicherà le sue decisioni entro il primo semestre 2025, anche in base alla domanda elettrica. Se le full electric si vendono, allora qualcosa si muoverà. Altrimenti, una fabbriche di batterie per auto invendibili non serve. Punto caldo la piattaforma Small per le vetture compatte di cui Stellantis non ha ancora dato indicazioni su dove intende collocarla. E ancora la questione della cassa integrazione che riguarda Stellantis, la filiera con molte fabbriche che nel 2025 esauriranno gli ammortizzatori sociali con 25.000 posti a rischio tra azienda e indotto.
La posizione di Confindustria
Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, nei giorni scorsi aveva lanciato un messaggio a Gruppo e governo: “L’uscita di Tavares potrebbe essere un’occasione per dimostrare che Stellantis tiene all’Italia, ma servono azioni concrete per preservare l’occupazione e il futuro del settore”.
Dazi Usa, panico Stellantis
Sui mercati europei, in queste ore, male i principali titoli del settore dell’auto che pagano le indiscrezioni riguardo alla volontà Donald Trump di imporre dazi sui beni importati negli Stati Uniti. Come le auto Stellantis. Il Wall Street Journal in prima pagina ha evidenziato le pressioni inascoltate di diversi Ceo: un’attività di lobbying per far cambiare idea al presidente eletto. Secondo un’analisi condotta da Morningstar, il Gruppo euroamericano ha il più grande disallineamento tra le Case automobilistiche che producono per il mercato di massa: se il 26% dei volumi di vendita è generato negli States, solo il 18% delle sue vetture viene prodotto in quel Paese. SI fanno macchine in Messico e Canada, nel mirino del tyconn. Tutto nasce da un post su Truth Social di un mese fa: The Donald dichiarò di voler fissare tasse del 25% per le merci che arrivano da Messico e Canada se i Paesi non si fossero impegnati nell’arginare il flusso di migranti e droga che superano i confini americani.