Due misure choc di Volkswagen contro la crisi: Bruxelles brucia

Ippolito Visconti Autore News Auto
Primo: 15.000 licenziamenti. Secondo: due o tre fabbriche chiuse.
bruxelles

Siamo a 15.000 licenziamenti su 700.000 dipendenti. E alla chiusura di due o tre fabbriche. Ecco la ricetta anti crisi del Gruppo Volkswagen, specie a causa del marchio omonimo. Quelle auto non si vendono, e per chi è abituato a stradominare col termico sono dolori. Le vetture elettriche cinesi sono troppo belle e fatte troppo bene, questo è il problema. Il tutto senza bisogno dell’approvazione del consiglio di sorveglianza. Si va via in scioltezza dal 2025 quando l’attuale contratto coi lavoratori, già rescisso, sarà carta straccia. In questo caso servirebbero accantonamenti fino a 4,4 miliardi di euro nel quarto trimestre, hanno scritto gli analisti di Jefferies (società di investment banking e intermediazione titoli). E Bruxelles brucia con le proteste dei lavoratori. Tutto a causa dell’auto elettrica, sempre più detestata.

Servono un sacco di soldi

I sindacati possono scioperare? Sì. Ma solo solo sul salario. Non sulla chiusura degli impianti o sui licenziamenti se non sono protetti da contratti. I vertici di Volkswagen hanno comunicato nelle scorse settimane che il piano di revisione dei costi per 10 miliardi di euro entro il 2026 non è più sufficiente: domanda debole. Offerta superiore di almeno 500.000 unità annue. Siamo a due milioni, serve crollare a 1,5 milioni. Urgono altri 5 miliardi per risollevare la competitività del brand.

audi

Bruxelles in fiamme

Come in un romanzo pensato alla perfezione, a Bruxelles è nato lo sciagurato piano del ban termico 2035, e sempre nella capitale belga, sede Ue, si scatena l’inferno. Migliaia di lavoratori hanno portato il caos facendo esplodere petardi e bloccando le strade nei pressi del Parlamento europeo: manifestazione di solidarietà con i dipendenti della fabbrica Audi che rischia la chiusura. D’altronde, oggi a te domani a me. Oltre cinquemila manifestanti provenienti dal Belgio, ma anche dalla Repubblica Ceca, si sono radunati alla stazione ferroviaria di Bruxelles Nord. I sindacati hanno indetto uno sciopero nazionale, bloccando i trasporti pubblici. Siamo solo alla prima puntata di un autunno bollente. Nella torre d’avorio, qualche politico Ue si accorge che le cose non vanno come dovrebbero. La fabbrica di Audi nel quartiere Forest di Bruxelles, circa tremila dipendenti, è l’icona del terrore negli occhi dei dipendenti: auto elettriche invendute. Secondo dati Rho Motion, in luglio e agosto in Europa le vendite di Bev e Phev hanno segnato rispettivamente -8% e -33%, ai minimi da gennaio 2023. Da inizio d’anno siamo a -4%, con un -23% in un mercato leader, la Germania, dopo il taglio dei sussidi a fine 2023. 

Bruxelles a ferro e fuoco

Il gioco ora cambia. Ieri, era il consumatore a piangere in silenzio: auto elettriche costosissime e scomodissime, termiche usate care da ustionarsi, regole assurde a tavolino. Oggi, sono i dipendenti delle Case a scendere in piazza per la paura della disoccupazione. Nella torre d’avorio, i politici Ue – circondati da lacché e influencer squallidi – si ritrovano un nuovo rivale. Molto più caldo in ogni senso. E anche più vicino. La protesta Audi di Bruxelles, dove ci sono gli organi Ue. 

La casa madre di Audi, Volkswagen Group, ha affermato a luglio di aver preso in considerazione la chiusura del sito di Bruxelles a causa della bassa domanda di Q8 E-Tron, l’unico modello dello stabilimento. Un gran numero di 3.000 lavoratori Audi, il 90 percento dei quali rischia di perdere il lavoro nel prossimo anno, ha guidato la marcia del 16 settembre in una foschia di fumo verde e rosa, i colori dei principali sindacati. “Vogliamo anche inviare un segnale forte alle autorità europee, che stanno rendendo le cose difficili per l’industria belga, ma anche per l’industria europea. L’industria manifatturiera sta principalmente migrando lontano dai nostri Paesi”, ha affermato Patrick Van Belle, responsabile del sindacato socialista presso Audi. 

Burocrazia con poche competenze

La burocrazia dell’Unione europea ha combinato un pasticcio epocale imponendo l’auto elettrica col bando termico 2035. Mentre a Bruxelles si scatena l’inferno (siamo solo all’inizio) per il terrore della disoccupazione dovuta al delirio full electric, ecco i numeri che seppelliscono in eterno la macchina a batteria. Col suo prezzo folle, la sua scomodità assurda. A fare da becchini, i loro influencer nei social, abbandonati al loro destino da multinazionali che ora annusano la puzza di bruciato. Tre dati.

Primo. I numeri di Germania, Francia e Italia, che sono i primi tre mercati dell’Unione, fanno paura: lo scorso mese elettriche -33% in Francia, -36% in Italia, -69% in Germania. 

Secondo. C’erano 220 i milioni di vetture circolanti nell’Ue a fine 2013, oggi sono più di 250 milioni, e continuano ad aumentare. Qualcuno voleva sostituirne la gran parte in 25 o 15 anni, col bando alle endotermiche.

Terzo. Nessun governo ci crede più: zero incentivi. E nessuno se le fila quelle macchine elettriche che ormai fanno rima con sfortuna, disgrazia, disoccupazione.

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