Dramma auto elettrica: 40.000 a rischio disoccupazione in Italia

Ippolito Visconti Autore News Auto
Il passaggio dall’auto termica all’auto elettrica, che conseguenze ha? Metterà a rischio 40.000 posti di lavoro in Italia.
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Il passaggio dall’auto termica all’auto elettrica, tanto desiderato dall’Unione europea, che conseguenze ha? Per iniziare, la transizione elettrica metterà a rischio 40.000 posti di lavoro in Italia: lo dice il Global Automotive Outlook di AlixPartners, report che analizza gli scenari automotive. La società di consulenza sostiene che nei prossimi mesi proseguirà la guerra dei prezzi: le Case cinesi fanno abbassare i prezzi di listino, con Tesla a ruota. L’offerta è troppo rispetto alla domanda. Quindi il prezzo dell’offerta deve scendere in un contesto di sempre maggior competitività. 

Auto elettrica, flop occupazionale

Il problema base è che il valore dei componenti di un’elettrica è di un terzo rispetto a un endotermico, evidenzia Fabrizio Mercurio, director automotive di AlixPartners. Solo una parte di questi è accessibile ai fornitori. La filiera italiana rischia di perdere, da qui al 2030, 7 miliardi di valore e 40 mila posti di lavoro. Il pericolo è di mettere in ginocchio il Meridione d’Italia, già duramente provato. E il Centro. Nelle due macroaree, è a rischio il 40% degli addetti. Serve uno sforzo coordinato a livello di governo, di Paese e di privati. Qui si chiude il report. Cioè, quale sforzo? Si può tradurre con incentivi, piano per le colonnine, corrente elettrica meno cara. Per adesso utopia nella nostra nazione.

La posizione dell’Unrae 

Dopo il bando alle termiche imposto dall’Ue nel 2035, la preoccupazione è diffusa. Per Michele Crisci, presidente Unrae (Unione Case estere), i posti di lavoro coinvolti nel settore, qualche decina di migliaia, potranno non solo essere convertiti ma se ne potranno aggiungere anche altri: lo ha detto un anno fa circa. Essendo dotate di meno componenti, però, le vetture elettriche non richiedono la stessa quantità di manodopera di quelle con motore a combustione interna, sostiene. “Ma la transizione alla mobilità elettrica, è un processo già in atto, che va governato e al quale è sbagliato sottrarsi”. Che fare? Accogliere queste tecnologie e l’innovazione, tranquillizzando i consumatori sui prezzi: le auto elettriche non saranno solo per i ricchi, perché l’aumento graduale dei volumi di produzione contribuirà ad abbattere i costi e i relativi prezzi. Serve, chiosa Crisci, un’agenda di governo, economica e politica, in grado di supportare efficacemente lo sviluppo, anche da un punto di vista sociale e occupazionale.

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Corte dei conti Ue: occhio alla transizione

Intanto, l’addio ai motori tradizionali dal 2035, per auto e veicoli commerciali leggeri meno inquinanti viene sostanzialmente definito non molto poco praticabile dalla Corte dei conti dell’Ue. I guai dell’auto elettrica? Batterie costose, dipendenza dall’estero, carburanti alternativi insostenibili, poche colonnine elettriche. I revisori parlando di “strada in salita”. 

Serve conciliare il Green Deal con la sovranità industriale, e con l’accessibilità economica per i consumatori. Bisogna produrre auto elettriche su vasta scala a prezzi competitivi in Ue. Garantendo l’approvvigionamento di materie prime. Problema: solo il 10 per cento della produzione mondiale di batterie è localizzata in Europa e per la stragrande maggioranza è in mano ad imprese non europee. La Cina controlla i tre quarti delle quote di mercato. L’Ue dipende per l’87 per cento del suo bisogno di litio grezzo dall’Australia, per l’80 per cento del bisogno di manganese dall’import di Sud Africa e Gabon. E per il 68 per cento del cobalto dalla Repubblica democratica del Congo. Infine, per il 40 per cento della grafite dalla Cina. Non siamo indipendenti. La Commissione europea si è ficcata in un vicolo cieco? Ora c’è paura.

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