Indiscrezione di Milano Finanza: dossier Stellantis, a scendere in campo sarebbe proprio Giorgia Meloni. Il premier starebbe seguendo l’evoluzione della situazione in prima persona. Facciamo un passo indietro, a prima delle vacanze di Natale 2024, quando il Gruppo euroamericano – col Piano Italia – promette di non chiudere nessuna fabbrica nel nostro Paese nel 2025, cosa che rende soddisfatto il ministro delle Imprese Adolfo Urso (nel quale il premier ripone fiducia massima). Questi accenna ad aiuti di vario genere a favore dell’auto, per un totale attorno a 1,6 miliardi di euro. Inoltre, a dimostrazione che i rapporti fra esecutivo e dirigenza della società si sono normalizzati dopo l’uscita di Tavares, si attende di ascoltare l’audizione alla Camera (tra metà gennaio e inizio febbraio 2025) John Elkann, presidente del Gruppo e facente funzioni anche di Ceo.
Cosa c’è in ballo
Il fatto è che la posta in gioco risulta pesantissima. A livello di occupazione diretta, indotto (un milione di posti), immagine del governo. Già in passato c’è stato il flop del milione di veicoli l’anno Stellantis fatti in Italia, in accordo con l’esecutivo che stanziava incentivi alla domanda. Ora, non si può più sbagliare, senza Tavares. Anche perché il nostro Paese, pro dazi anti auto elettriche Made in China, non riesce a trovare un Gruppo del Dragone che investa da noi, per via dell’opposizione di Pechino. Per cui, o Stellantis o zero.
Che fa il governo
Per tutelare l’industria dell’auto, intanto, il governo Meloni fa da locomotiva, trainando altri esecutivi, chiedendo all’Ue di stoppare le multe di 16 miliardi di euro a carico delle Case che venderanno troppe macchine inquinanti. Col risultato che saranno a rischio livelli occupazionali, fabbriche, vendite (i costruttori alzeranno i listini delle termiche, immatricolando meno vetture, pur di evitare ammende eccessive). A rendere molto più complicato il quadro, la spada di Damocle del costo dell’energia, enorme in Italia, perché non compra più gas dalla Russia cercando di punirla per la guerra contro l’Ucraina. Di certo, il premier resta allineato all’Ue per mille ragioni, a differenza dell’Ungheria: Budapest, acquistando gas da Putin, ha costi energetici bassi, e attrae le Case cinesi come BYD, a beneficio dell’occupazione diretta e indiretta.