Dazi auto Trump con effetti pesanti su Stellantis e Italia Dazi auto Trump con effetti pesanti su Stellantis e Italia

Dazi auto Trump con effetti pesanti su Stellantis e Italia

L’imposizione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump rappresenta una sfida significativa per Stellantis e l’intera filiera automobilistica italiana.

La legnata dei dazi auto di Trump al 25% da tutto il mondo verso gli USA ha effetti anche su Stellantis. Le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentano una quota relativamente piccola della produzione totale del Gruppo in Italia (20-25.000 unità su 350.000), ma significative. Vedi modelli come la Dodge Hornet prodotta a Pomigliano, insieme all’Alfa Romeo Tonale, e le Maserati prodotte a Mirafiori, sono direttamente interessati. Se le performance della Fiat 500 elettrica sul mercato yankee fossero notevoli, le preoccupazioni per il Cinquino a batteria scemerebbero, però si parte da numeri bassi per approdare a una futura micro nicchia a causa delle tasse del tycoon. A dimostrazione che il mercato nordamericano sia importante, gli investimenti annunciati dalla società per aumentare la capacità produttiva proprio negli States, inclusa la riapertura dello stabilimento di Belvidere.

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Stellantis da Messico e Canada verso gli USA: sono dolori

La produzione negli stabilimenti messicani e canadesi, che forniscono componenti e veicoli al mercato statunitense, è a rischio per le tariffe di The Donald. Esiste anche un delicato equilibrio politico e diplomatico da mantenere, con Stellantis che mette in chiaro la volontà di voler sostenere la visione del presidente Trump. La strategia è indurre la Casa Bianca a considerare la gravità dell’aumento dei prezzi per i consumatori.

USA mercato chiave

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Con l’Europa mercato tremolante, la Cina preda dei marchi locali, gli States sono ossigeno per Stellantis. In particolare, l’ex gallina dalle uova d’oro Jeep che intende tornare molto profittevole. 

E i marchi controllati Chrysler, Dodge e RAM, il cui mercato principale sono proprio gli Stati Uniti: il 40% della produzione avviene tra Canada e Messico. A Windsor, in Ontario, si producono Dodge Charger e Chrysler Pacifica. Mentre da Saltillo, nello Stato messicano di Coahuila, esce un pick-up RAM. Immediatamente dopo l’elezione di Trump, John Elkann si era mosso. Come ebbe a dire Antonio Filosa, capo delle operazioni in Nord America: “Intendiamo rafforzare ulteriormente la nostra impronta manifatturiera negli Stati Uniti fornendo stabilità alla nostra grande forza lavoro americana”. Ma non è stato sufficiente per placare l’ira funesta di The Donald, che tanti lutti addusse alle Case auto.

Come attenuare le consegunze: le possibili mosse di Stellantis

Stellantis può riattivare l’impianto di Belvidere, in Illinois, per produrre pick-up di medie dimensioni. E avviare la produzione del Dodge Durango a Detroit, più una nuova linea nello stabilimento di Toledo, in Ohio. Inoltre, ha modo di puntare sulla fabbrica di motori di Kokomo, in Indiana, dove già si produce il motore Hurricane 4. I dazi imposti da Trump, infatti, secondo una stima di Reuters, porterebbero a un sovrapprezzo compreso tra i 3.000 e i 7.000 dollari dei pick up Made in Canada e Messico.

Dazi auto Trump con effetti pesanti su Stellantis e Italia

Dazi USA sulla filiera italiana

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Le esportazioni italiane verso gli USA sono attorno a 4,5 miliardi di euro tra auto e componentistica. L’impatto dei dazi sulla filiera italiana è notevole, considerando le esportazioni di componenti verso gli Stati Uniti e il ruolo delle aziende italiane come fornitori di produttori tedeschi che esportano nella nazione più potente del pianeta. Tutte le aziende italiane che hanno investito in Messico potrebbero esserne colpite, anche se la questione va inquadrata nell’ottica di una minaccia per ottenere qualcosa: magari sono dazi provvisori, in vista di concessioni del resto del mondo verso gli USA. A mo’ di esempio, il desiderio di Trump di impossessarsi di TikTok in cambio dell’eliminazione delle tariffe anti Cina.

“I dazi avranno un effetto non devastante, ma importante. In un momento in cui i produttori e i componentisti stanno soffrendo, e questo è un ulteriore elemento di incertezza – dice il direttore Anfia (filiera italiana), Gian Marco Giorda -. Esportiamo 1,2 miliardi di componenti negli Stati Uniti e ne importiamo 230 milioni, mentre per quanto riguarda i veicoli esportiamo tre volte quelli che importiamo. Speriamo che sia una mossa negoziale e che ci sia spazio per fermare questa manovra. Una vettura potrebbe costare tra 6.000 e 10.000 dollari in più rispetto al prezzo attuale”.

Dazi auto e componenti: da quando

Il 3 aprile 2025, scattano i dazi USA 25% sulle auto. Le tariffe sui componenti scatteranno non oltre il 3 maggio. Le stesse aziende che producono negli USA – spiega Giorda – avrebbero uno svantaggio perché dovrebbero acquistare da fuori componenti che sono gravati di un dazio del 25%. “Siccome gli Stati Uniti importano molti componenti, verrebbero penalizzate anche quelle aziende che già producono negli Usa e che comprano componenti dall’Italia, dalla Cina e da altri Paesi. Vendiamo tanti componenti, 5 miliardi di euro, in Germania:vanno in parte su auto esportate in Usa. Se ci fosse un calo delle esportazioni di vetture tedesche premium esportate, questo potrebbe avere conseguenze sul fatturato delle nostre aziende”.

I dazi auto fra Trump, Putin e l’UE

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Da parte nostra, c’è da considerare la forte interconnessione tra le filiere italiane e l’industria tedesca dell’auto, L’Acea (Associazione europea dei costruttori di auto) ha chiesto un dialogo immediato con gli Stati Uniti per evitare una guerra commerciale, ma non da oggi: sono mesi che la lobby va cercando un accordo, senza successo. D’altronde, neppure il Piano d’Azione UE risponde, neanche minimamente, ai desideri delle Case auto UE. La Clepa (Associazione europea dei fornitori di autoveicoli) ha espresso preoccupazioni per l’impatto negativo sui posti di lavoro e sui costi per i consumatori, e concorda sull’esigenza di un dialogo. A peggiorare le cose, l’UE che tende un po’ a escludere Trump dal tavolo per la negoziazione di un’eventuale pace fra Russia e Ucraina (tranne il nostro premier Meloni, la quale insiste per la presenza del presidente USA). Inoltre, The Donald e Putin dialogano bene, mentre Mosca e Bruxelles si scontrano.