Non abbiamo remore a criticare i sinistroidi verdi Ue con la loro fisima per l’auto elettrica, e analogamente andiamo ad analizzare il flop del governo Meloni di destra in Italia con la transizione verso il full electric. Primo: abbiamo 60.000 punti di ricarica. Pochi, lenti, distribuiti male. Il 20% paralizzato dalla burocrazia. Quella del governo Meloni è una transizione elettrica a parole, di plastica: zero fatti. Questo esecutivo, che si dice di destra, deve decidersi: o da solo o con l’Ue. Se sceglie l’Ue, allora deve seguire Bruxelles che ha imposto l’auto elettrica. Con un Regolamento Ue a fissare un aspetto chiave: i singoli Paesi membri devono fare di tutto per favorire la decarbonizzazione attraverso la spinta a favore dell’auto elettrica. C’è stato il delirio dogmatico dei verdi di sinistra in Germania e in Ue: siccome la sinistra comanda in Europa a livello centrale, quelle indicazioni date dalla Commissione Ue vanno ascoltate e messe in pratica.
Altrimenti, il governo Meloni di destra opera come un qualsiasi governo di sinistra: tante chiacchiere sull’auto elettrica, ma una grande confusione che non porta a niente.
Colonnine, anima dell’elettrico
Mettiamo le colonnine veloci molto prima dei bonus: sono la chiave per l’elettrico. Serve un ecosistema adatto: per ora, solo Tesla coi Supercharger ne è dotata. Nel nostro Paese, con così poche stazioni per il rifornimento di elettroni, restano due realtà: le Tesla come auto, i mini van elettrici per gli spostamenti urbani e possibilità di fare rabbocchi di elettricità alle colonnine aziendali. Ovvio che l’usato elettrico perda valore in fretta: sono macchine scomodissime. Non in sé, ma in quanto inserite in un ecosistema inefficiente. I due bandi sulle colonnine veloci sono stati un flop colossale. Adesso, si attende il terzo bando: burocrazia strangolante.
Cosa ne pensa Andrea Cardinali (Unrae)
Inoltre zero incentivi. “Dobbiamo prenderne atto, concentrare le risorse sugli investimenti, è finito il tempo dei bonus. Interverremo anche in legge di bilancio per incrementare le risorse destinate alla filiera e ai processi di riconversione produttiva. Gli incentivi destinati all’acquisto non hanno avuto effetti positivi sulla produzione”. Lo ha detto il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso durante il Question Time al Senato.
Sul tema, si esprime con lucidità Andrea Cardinali, direttore generale della lobby dell’auto Unrae (Unione Case estere): “Il 7 agosto, dopo soli due mesi di vigenza del nuovo Ecobonus, il ministro Urso ha vantato il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, di svecchiamento del parco circolante, di supporto alle fasce sociali più deboli. A quello serviva, e serve ancora, l’Ecobonus. Ma evidentemente non gli interessa più. Pensare di sostenere l’offerta incentivando la domanda era sbagliato e illusorio. Il made in Italy è sceso al 12% del mercato, eppure ha assorbito circa il 20% degli incentivi statali grazie a dei tetti di prezzo ‘su misura’. Puntare a raggiungere quote maggiori era onirico. Il rilancio della produzione nazionale andava perseguito con tutt’altri strumenti. E si dimentica che il 60% della componentistica italiana va all’export. Le auto made in China? Non c’entrano nulla. Sono perlopiù di marchi occidentali e dal 5 luglio pagano anche dazi sostanziosi. Piuttosto il governo cercasse di incassarli, anziché lasciarli in tasca ai porti del Nord Europa, rendendo più competitivi i nostri”.
Motus-E perentoria
Motus-E (lobby dell’elettrico) ha perfettamente ragione. C’è allarme per varie ragioni: “Il nuovo contrordine sugli incentivi auto dopo gli annunci di agosto, i rischi del taglio del Fondo Automotive per la filiera italiana e l’urgenza di un contesto chiaro e favorevole agli investimenti per il rilancio dell’industria nazionale”. Ad agosto il ministero aveva annunciato un nuovo ecobonus programmatico, calibrato per favorire la pianificazione degli acquisti delle famiglie e degli investimenti dell’industria. Giovedì, Urso ha detto che è “finito il tempo dei bonus”. Di fronte a tutti questi annunci e contro-annunci, chiosa Naso, imprese e consumatori rimangono spiazzati, rinviando investimenti e decisioni di acquisto: “In assenza di un contesto leggibile non c’è da stupirsi se il mercato delle auto elettriche in Italia continuerà a essere fortemente compromesso”.