BYD e CATL adorano l’Ungheria, mentre nessun cinese vuole l’Italia

Ippolito Visconti Autore News Auto
Il nuovo stabilimento di BYD sarà operativo in Ungheria nel 2025.
BYD

Storia d’amore fra il colosso cinese BYD e l’Ungheria: il nuovo stabilimento del gigante orientale sarà operativo in terra magiara nel 2025. Dalle linee di Szeged arriveranno modelli full electric e ibridi plug-in destinati espressamente al mercato europeo. Dragone troppo intelligente per cadere nella trappola dell’elettrico totale: si copre le spalle dicendo sì in Cina e nel mondo alle termiche a benzina ibride plug-in, ossia le ricaricabili.  

Zero dazi

BYD vuole “diventare un costruttore europeo”, dicono i vertici societari. Anche perché l’apertura dello stabilimento permetterà di evitare i dazi del 17% sui veicoli elettrici Made in China e venduti in  Ue, che si sommerebbero al 10% già applicato attualmente, per un totale spaventoso del 47%. Questo va a beneficio dei consumatori, che così hanno full electric non carissime: è il suicidio incomprensibile della sinistra verde tedesca. Sempre nel 2025, BMW farà uscire dalla fabbrica di Debrecen nuovi modelli elettrici realizzati sulla piattaforma Neue Klasse. 

CATL alla magiara

Anche la cinese CATL, uno dei principali produttori di batterie al mondo, ama l’Ungheria

Sta costruendo una gigafactory a Debrecen che fornirà batterie pure a BMW e Mercedes: nel 2025, dovrebbe avere una capacità produttiva di 100 GWh. 

Chance d’oro per l’Ungheria

Ungheria quindi partner commerciale per Pechino. Così vuole il governo guidato da Viktor Orbán. Obiettivi: crescita dell’economia nazionale del 3,4% entro il 2025, superare la recessione tecnica in cui si trova, creare posti di lavoro diretti, dare ossigeno all’indotto di qualunque genere. Lo evidenzia il capo di gabinetto di Orban, Gergely Gulyas: “L’ottimismo per le politiche economiche del prossimo anno è sostenuto dagli attuali sviluppi, che prevedono l’inizio della produzione dei nuovi stabilimenti di BMW e BYD entro la seconda metà del prossimo anno”. Oltretutto, gli altri cinesi osservano di lontano come vanno le avventure di BYD e CATL in Ungheria. Se questa nazione dovesse portare fortuna, altre aziende del Paese della Grande Muraglia si precpiterebbero a trattare con Budapest.

Da quelle parti hanno individuato la linea: chiudere i confini e aprire le fabbriche. È sbagliato? Questo non può spettare a noi dirlo. Va al contrario rilevato che esiste una politica seria, c’è poco da fare.

byd
Screenshot

Perché l’Italia no

Il governo italiano di destra (come quello in Ungheria), con Giorgia Meloni, ci ha provato in tutti i modi a iniziare qualcosa di importante coi cinesi. Zero risultati. Perché? Paga una burocrazia asfissiante, con mille lacciuoli pronti a strangolare. Pesa la tassazione devastante. Perdipiù, qui l’elettrico è una micro nicchia ridicola. Senza contare costo del lavoro e dell’energia. Va pure detto che Orbán ha detto no agli extra dazi Ue sulle auto elettriche cinesi, mentre Meloni ha detto sì (come desiderava la Commissione Ue). Questo magari ha irritato il Dragone: lo Stivale non si capisce bene da che parte stia. Con Stellantis in crisi nerissima, il target di un milione di auto l’anno fatte in Italia è utopia. Di qui le ripercussioni pesantissime su industria, indotto, filiera, occupazione, e le conseguenti tensioni sociali. Peccato, perché eravamo e siamo uno dei cuori pulsanti dell’auto mondiale, con capacità immense, potenzialità straordinarie. Giusta o sbagliata che sia, la strategia ungherese è chiara e priva di contraddizioni: saranno pure sovranisti, ma se c’è da tutelare l’occupazione e l’economia, si fanno volentieri eccezioni.

Spiace sottolinearlo, ma alla fine quei numerosi cinesi (che volevano aprire fabbriche da noi) sono spariti. Dopo le cosiddette interlocuzioni. Ossia viaggi e andirivieni verso Pechino e ritorno a Roma. Prima li corteggi, poi dai l’ok ai dazi. Boh?

Una grande occasione anche per BYD

Il processo di europeizzazione della cinese BYD pertanto prosegue. Se BMW producendo in Ungheria è europea, allora i giapponesi sfornando auto in Francia appartengono al Vecchio Continente. Allo stesso modo, quando i cinesi fanno uscire vetture da fabbriche in terra magiara, sono europei. O tutti o nessuno.

Situazione aggiornata

Pertanto le cose stanno nel modo seguente.

La cinese Chery in Spagna.

Mentre la cinese BYD in Ungheria.

La cinese CATL in Ungheria.

La statunitense Tesla in Germania.

La francese Renault in Marocco.

La tedesca Volkswagen in Sud Africa.

La giapponese Toyota in Francia.

L’euroamericana (a prevalenza francese) Stellantis in Serbia, Turchia, Marocco, Polonia.

In Italia? Nessun esterno. Mentre la produzione Stellantis crolla: ci sono le euro multe e la transizione energetica. Avremmo Ferrari (italiana) e Lamborghini (Audi, VW, Germania).

  Argomento: 
X