Auto elettrica sciagura epocale: l’Europa da esportatore di componenti diventa importatore

Ippolito Visconti Autore News Auto
Con una mossa che ha il sapore del masochismo estremo, l’Unione europea ha abbandonato il termico dove vinceva per giocare la partita dell’auto elettrica.
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Con una mossa che ha il sapore del masochismo estremo, l’Unione europea ha abbandonato il termico dove vinceva per giocare la partita dell’auto elettrica: qui, sconfitta sicura, coi cinesi che ci divorano. Un po’ come se alle Olimpiadi il recordman centometrista di atletica decidesse di fare la gara dei 100 metri di nuoto stile libero. Adesso, l’auto elettrica si rivela sciagura epocale per l’export di componenti. 

Ripercussioni drammatiche

La Clepa, associazione europea dei produttori di componentistica per auto, lancia l’urlo di dolore la cui eco rimbomba nel Vecchio Continente. Dice che c’è uno storico cambiamento nel rapporto tra importazioni ed esportazioni. La bilancia commerciale è destinata a passare da una situazione di forte surplus a una di deficit: ripercussioni drammatiche sul fronte industriale. 

L’Unione europea diventerà per la prima volta in assoluto un importatore netto di componenti per autoveicoli già quest’anno. 

Ieri, conquistavi il mondo. Oggi, subisci passivo. E tutto per il presunto Green Deal della presunta transizione elettrica con le batterie che nel ciclo vita inquinanano come il demonio. Allucinante.

La produzione di batterie è cresciuta da 69 GWh nel 2022 a quasi 100 GWh nel 2023. Le previsioni di mercato ottimistiche suggeriscono che la produzione di celle per batterie potrebbe raggiungere la domanda entro il 2026. Tuttavia, più della metà di questi investimenti annunciati rischiano ancora di non concretizzarsi a causa dell’incertezza sulla domanda e delle condizioni abilitanti.

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Serve la libertà, parola meravigliosa

Le cose cambiano in fretta nel mondo che va a mille all’ora. Nel 2023 l’industria della componentistica europea era leader globale con circa 56 miliardi di euro di esportazioni e un surplus commerciale di 26,7 miliardi di euro. Ma includendo nel conteggio le crescenti importazioni di batterie e semiconduttori, i numeri crollano: avanzo di appena 3,1 miliardi di euro. I 20,9 miliardi del 2021 sono un sogno termico meraviglioso. 

Perché il trend tragico verso il basso? C’è il trasferimento di produzioni tecnologiche innovative all’estero. I significativi investimenti in ​​ricerca e sviluppo effettuati dalle aziende europee non bastano. Esiste pure chi ha molti più soldi di te: la Cina. Che investe somme spropositate nell’elettrico, e stravince.

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Burocrazia che strangola

Ci sarebbe la necessità per l’Ue di rafforzare la propria competitività e garantire che le innovazioni europee siano principalmente prodotte nell’Ue, conclude la Clepa. Aggiungiamo noi: sì, ma la burocrazia antica del Vecchio Continente ci rende lenti e prevedibili. I cinesi sono esplosivi, feroci, determinati. Poi i dazi li rendono ancora più imbestialisti: mossa economica e psicologica deleteria. Un secondo boomerang.

Il mondo cambia? Certo: anche la telefonia è mutata. Gli smartphone hanno invaso il mondo da sé. L’Ue non ha proibito i vecchi telefonini. Si chiama libero mercato nella libera concorrenza. Esistono motori a benzina e a gasolio pulitissimi, che possono sfidare l’auto elettrica e le batterie nel ciclo vita. Stendiamo un velo pietoso sulla filiera dei minerali e dei metalli, controllata dalla Cina: ci sarebbe tanto da dire sulle condizioni e sull’età dei lavoratori in Africa e altrove. Il tutto mentre le elettriche sono care come il fuoco, con l’usato termico che ha listini da primato.

In Ue, l’elettrico viaggia a uno squallido 15% di fettina di mercato dopo gli incentivi (ora finiti) e le pressioni politiche e mediatiche delle lobby che affollano we, social e LinkedIn. È ultimo in gara nonostante l’assunzione di doping: senza spintarella, crolla. I consumatori vogliono il termico. Altrove desiderano le auto elettriche? Potevano essere i produttori a decidere da sé quando e dove competere coi cinesi. Libertà totale nel libero mercato nella libera concorrenza.

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