Auto elettrica: le contraddizioni del governo italiano

Ippolito Visconti Autore News Auto
Ma l’Italia vuole l’auto elettrica, sì o no? Non si capisce. Il 1° luglio il governo Meloni ha trasmesso alla Commissione europea il testo definitivo e aggiornato del Piano nazionale integrato.
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Ma l’Italia vuole l’auto elettrica, sì o no? Non si capisce. Il 1° luglio il governo Meloni ha trasmesso alla Commissione europea il testo definitivo e aggiornato del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, il famigerato Pniec. E fin qui tutto ok. Adesso sentite Andrea Cardinali, direttore Unrae (Case estere).

1) Il documento evidenzia testualmente: “È molto incerta la traiettoria di evoluzione della mobilità, intesa non solamente come livello di diffusione e vettore energetico impiegato, ma anche come distribuzione territoriale, tipologie di infrastrutture di ricarica e abitudini degli utenti”.

2) Poi però dopo il documento fa una previsione: un parco circolante di 6,6 milioni di vetture ricaricabili nel 2030. Ossia 4,3 milioni di elettriche, più 2,3 milioni di ibride plug-in. Tutto legato “all’atteso salto tecnologico delle batterie”. Si può fare? Oggi abbiamo 251.023 elettriche circolanti. Zero incentivi. La fiammata di giugno coi bonus ha un impatto minimo. Per l’Unrae, “un obiettivo ben lontano dal materializzarsi in assenza di una strategia chiara e di risorse sostanziose”.

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Cosa fare per l’elettrico

1) Serve, dice l’Unrae, una strategia sui supporti alla transizione energetica, con un orizzonte temporale di almeno 2-3 anni. Questo permetterebbe a consumatori e imprese di programmare gli acquisti, evitando che nuovi stop & go creino incertezze al mercato.

2) Intervenire sul regime fiscale delle auto aziendali, fermo in Italia agli anni ’90, che penalizza tutte le imprese italiane nel confronto con le concorrenti europee. Fondamentale agire su detraibilità IVA e deducibilità dei costi, modulandole in funzione delle emissioni di CO2, riducendo anche il periodo di ammortamento a 3 anni.

Il guaio Ue

Il fatto è che la stessa Ue, cui l’Italia appartiene, ha le idee poco chiare, aggiungiamo: prima il bando termico 2035, poi sì al termico forse con gli e-fuel, quindi puntare sulle auto elettriche, infine i dazi anti elettriche cinesi. Confusione totale. Speriamo che i bandi delle colonnine veloci ora funzionino. In passato, c’è stato il flop dei vecchi bandi dei mesi scorsi: ora sono state ridotte le dimensioni delle aree per le quali è possibile presentare domanda. Mentre i raggruppamenti temporanei sono ammessi. È anche vero che il governo non ha in mente solo le BEV, deve portare avanti un Paese in difficoltà. Urgono gli incentivi per stimolare il cambio della tua vecchia tecnologia per una più efficiente ma inizialmente più costosa.

Il passaggio dal bando termico al quasi possibile bando termico escluso e-fuel non è apprezzato dall’associazione europea delle imprese elettriche Eurelectric: “Vediamo un certo passo indietro sul divieto di fatto dei motori a combustione interna per il 2035. Le sue linee guida confermano che gli e-fuel dovrebbero svolgere un ruolo nel settore dei trasporti oltre il 2035. Siamo d’accordo che l’industria ha bisogno di prevedibilità. Qualsiasi marcia indietro minerebbe la certezza degli investimenti. Come industria dovremo installare le stazioni di ricarica e costruire l’infrastruttura di rete necessaria per consentire il lancio dei veicoli elettrici. Abbiamo bisogno di prevedibilità per questo”.

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