Chi ha paura dell’auto elettrica? Dieci incognite

Ippolito Visconti Autore News Auto
In teoria nulla è più meraviglioso dell’auto elettrica nel settore della mobilità: un mezzo pulito, silenzioso, efficiente, veloce, che non sporca ed è semplice a livello di componenti e manutenzione.
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In teoria nulla è più meraviglioso dell’auto elettrica nel settore della mobilità: un mezzo pulito, silenzioso, efficiente, veloce, che non sporca ed è semplice a livello di componenti e manutenzione. Purtroppo poi ci si scontra con la realtà, fatta di vari effetti collaterali negativi e pesanti. 

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Dieci incognite dell’auto elettrica

1) La disoccupazione. Elettrificazione e automazione vanno a braccetto con disoccupazione. L’auto elettrica ha meno bisogno dell’uomo. Questo vuol dire disoccupazione: un allarme per Europa, Usa, Giappone e perfino Corea del Sud, come riporta Bloomberg. Negli Usa, non si è spenta l’eco dello sciopero di sei settimane del sindacato United Auto Workers contro le Case lo scorso autunno. Nel Paese del Sol Levante, i vertici della Toyota, il più grande datore di lavoro del paese con quasi 381.000 dipendenti, sono alle prese con il modo in cui la trasformazione tecnologica della casa automobilistica avrà un impatto non solo sui suoi lavoratori, ma sulla vasta catena di fornitura automobilistica della nazione e sulle migliaia di posti di lavoro che essa sostiene. A Seul e dintorni, il sindacato Hyundai e Kia (attentissime comunque al benessere dei lavoratori) sta affrontando la perdita di posti di lavoro nel mondo dei veicoli elettrici: da quelle parti, il movimento operaio è straordinariamente attivo e organizzato. Rappresenta circa 180.000 lavoratori del settore automobilistico, di cui circa 70.000 presso Hyundai e Kia, i due produttori dominanti della nazione. Il sindacato, formato nel 2001, è in procinto di negoziare un nuovo contratto annuale per i lavoratori dell’assemblaggio di veicoli della Hyundai: minaccia di scioperare per i disaccordi sui futuri piani di assunzione e sulla condivisione dei profitti record del 2023. 

2) La disoccupazione indiretta. Ossia tutto l’indotto che prima lavorava per il termico. Che fine fa? Non sono così immediate la conversione e la trasformazione in aziende che forniscono componenti per le elettriche. Anche perché queste necessitano di meno occupati.

3) La sicurezza delle gigafactory, ossia le fabbriche di batterie di auto elettriche (le Gigafactory Tesla, con G maiuscola, fanno sia auto sia batterie). La scorsa settimana almeno 23 persone, per lo più lavoratori migranti provenienti dalla Cina, sono morte in un incendio causato da esplosioni in uno stabilimento di batterie al litio a sud di Seul. L’incendio, avvenuto in una fabbrica di proprietà di Aricell, che produce prodotti per applicazioni industriali e militari, è stato il peggior incidente avvenuto in uno stabilimento di batterie nella storia del Paese. Aricell è una filiale di S-Connect ed esisteva una società di reclutamento esternalizzata per gli operai. Questo tipo di sistema impedirebbe ai lavoratori di connettersi tra loro e aiuta i datori di lavoro a controllarli più facilmente: così dicono i sindacati. 

4) La “transizione giusta”. I sindacati in Corea puntano alla “transizione giusta”: posto di lavoro conservato, sicurezza del lavoratore garantita. L’occupazione sostenibile nella mobilità sostenibile.

5) L’inquinamento nel ciclo vita. Permangono fortissimi dubbi sul fatto che l’auto elettrica sia davvero pulita. Lo è alla fonte: zero emissioni, niente tubo di scappamento. Ma, al di là dell’inquinamento dovuto ai freni, c’è quello del ciclo vita. Dalla nascita della batteria (quando la si produce) alla morte (lo smaltimento). Un dato recente fornito da Green CAP dice che un’auto con batteria tra 50 e 60 kw/h produce emissioni di CO2, nel suo ciclo di vita, pari a 7 milioni di tonnellate. 

Dalle miniere vere alle miniere di soldi

6) Batterie e miniere, occhio. La Cina è la regina incontrastata nel mondo delle batterie e anche delle miniere dove si estraggono minerali per fare le batterie. Chi controlla il benessere degli occupati? Attenzione alle tutele per i lavoratori. No assoluto allo sfruttamento di qualsiasi persone, ancor più di bimbi in Africa.

7) Le entrate del fisco centrale. Oggi, gli Stati sopravvivono grazie alle tasse (accise) su benzina e diesel, più quella che in Italia è l’Iva al 22%: l’imposta sulle tasse. Tolti quei miliardi, lo Stato resta a bocca asciutta. La spesa per autotrazione benzina e gasolio nel 2023 è stata di 70,9 miliardi di Euro: 38,1 miliardi sono dovuti ad accise e Iva (su accise e su costo industriale). I restanti 32,8 miliardi sono quelli fatturati per la produzione e la distribuzione. La parte fiscale nel 2023 è salita del 22,7% rispetto al 2022, mentre la parte industriale ha subito un calo del 18,1%. In un momento drammatico come questo, dove si prendono i soldi? Magari sulle ricariche private e pubbliche, sull’elettricità. Ma se così fosse, l’auto elettrica non venderebbe più. Si tornerebbe al termico. Una contro conversione, una contro riforma. In più, i governi cadrebbero in contraddizione. Prima danno incentivi per il fotovoltaico (cinese) al privato, e poi lo tartassano. 

8) Le entrate del fisco locale. Si pensi al bollo auto regionale non pagato dalle elettriche. Al ticket Area C di Milano non pagato dalle elettriche, assieme agli stalli di sosta blu gratuiti. Gli enti locali sono pieni di debiti fino alle orecchie anche per i costi della politica: senza i quattrini delle auto, come tirano a campare? Alla fine, i Comuni fingono di avercela tanto con le auto: senza vetture, vanno nel panico. Si pensi alla Cassazione che stanga gli autovelox non omologati e allo psicodramma di vari sindaci.

9) Incendio. Le termiche hanno più probabilità di andare in fiamme. Ma le elettriche sono più difficili da spegnere. C’è la possibilità di ripartenza delle fiamme anche dopo ore dal primo spegnimento. È necessario isolare la vettura per almeno 72 ore e tenere una distanza di 10-15 metri da ogni tipo di materiale infiammabile.

10) Trasporto e stoccaggio. Le vetture elettriche richiedono un trasporto con caratteristiche particolari: non ci sono ancora normative specifiche. Le compagnie di trasporto marittimo chiedono che la carica della batteria sia limitata tra il 20 e il 50%: perché? Hanno legittimi timori. È richiesto che le vetture vengano parcheggiate in zone specifiche, possibilmente all’aperto.

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